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martedì 25 ottobre 2016

Recensione: L'isola di Arturo di Elsa Morante

Titolo: L'isola di Arturo
Autore: Elsa Morante
Casa editrice: Einaudi
Numero di pagine: 379
Formato: Cartaceo
Il romanzo è un'esplorazione attenta della prima realtà verso le sorgenti non inquinate della vita. L'isola nativa rappresenta una felice reclusione originaria e, insieme, la tentazione delle terre ignote. L'isola, dunque, è il punto di una scelta e a tale scelta finale, attraverso le varie prove necessarie, si prepara qui, nella sua isola, l'eroe ragazzo-Arturo. È una scelta rischiosa perché non si dà uscita dall'isola senza la traversata del mare materno; come dire il passaggio dalla preistoria infantile verso la storia e la coscienza.

Questo è il secondo romanzo che leggo e recensisco di Elsa Morante (qui la mia recensione de La Storia) e ormai è irrimediabile: sono innamorata. Di questo libro ancor più del precedente, se possibile. Si, non ci credevo all'inizio, ma questo romanzo mi è piaciuto ancora di più del precedente, anche se mi ci è voluto un po' per entrare nella storia e metabolizzare le differenze.
Cominciamo da quelle.
Nella Storia una delle cose che mi avevano incantata più di tutti era stata la lingua, lo stile di scrittura della Morante. Se ne L'isola di Arturo abbiamo uno stesso stile ricco e stratificato, con l'utilizzo di termini alti e dialettali insieme (si vede che sto studiando letteratura italiana, eh?xD), sempre lo stesso amore per la Parola e tutte le sue inflessioni, abbiamo però anche una significativa differenza. Garboli - che ha curato il commento alla mia edizione - definisce questo romanzo "Una piccola, criptica Achilleide resuscitata" e, in effetti, questo romanzo sembra talvolta un piccolo, intimo poema epico e di questo filone ha lo stile, specie agli inizi. Questo comporta l'utilizzo di un registro "epico", appunto.
Ciò che cambia è l'argomento del poema. Non si narra di guerre (anche se l'ombra della Seconda Guerra Mondiale incombe), di eroi o amori impossibili.
O meglio, si narra di tutte queste cose, ma in una luce intima, familiare, introspettiva, indegna dei grandi cantori perchè troppo piccola e quotidiana. Ma la lingua della Morante dona dignità anche a materia così modesta, e così l'isola di Procida, poco lontana da Napoli, diventa una petrosa Itaca, dove si consuma il dramma più grande di tutti, vissuto ogni giorno e per questo disprezzato dagli aedi degli anni della Morante: il dramma della crescita, il brusco passaggio dall'infanzia e dai suoi sogni alle responsabilità e ai dolori della vita adulta. Le guerre ci sono, ma sono quelle che un giovanissimo, tenero Arturo combatte con sè stesso per scendere a patti con la realtà del mondo; ci sono gli eroi, se eroe si può chiamare un ragazzetto che passa le sue giornate a sognare di battaglie e viaggi avventurosi; ci sono gli amori impossibili, se tralasciamo che il loro oggetto è una piccola napoletana bruttarella e molto ignorante. La Morante si fa cantrice dei travagli del quotidiano, ma lo fa usando il linguaggio eroico di Omero e Virgilio.

   "E tu non saprai la legge
ch'io, come tanti, imparo
- e a me ha spezzato il cuore:

fuori del limbo non v'è eliso."

La meravigliosa poesia che la Morante compone come dedica (e di cui io ho riportato solo l'ultima e, a mio parere più significativa, parte) ci dona fin dall'inizio una delle chiavi di lettura più importanti del romanzo: la crescita, appunto, l'abbandono del regno dell'infanzia e il crollo di tutti i sogni e le certezze infantili. Quelle di Arturo, in particolare, ruotavano attorno alla figura del padre.
Wilhelm Gerace, figlio di un italiano e di una tedesca, biondo e bellissimo agli occhi del figlio, con quel sorrisetto obliquo, gli occhi freddi e i suoi lunghissimi viaggi. Arturo lo ammanta, aiutato dalla penna sublime della Morante, di eroicità, immagina per lui avventure in luoghi selvaggi, onori e ricchezze. Stravede per lui, lo ammira come nessun'altro e il suo più grande desiderio è partire in viaggio con lui, a girare il mondo. Fuor di metafora si potrebbe parlare di come ogni bambino "mitizzi" i genitori e come, crescendo, si apprende una delle verità più dure: che sono umani e fallibili, come noi, e come noi sono deboli e imperfetti.

"Dunque, pare che alle anime viventi possano toccare due sorti: c'è chi nasce ape, e chi nasce rosa. Che fa lo sciame delle api, con la sua regina? Va, e ruba a tutte le rose un poco di miele, per portarselo nell'arnia, nelle sue stanzette. E la rosa? La rosa l'ha in sè stesso, il proprio miele: miele di rose, il più adorato, il più prezioso! La cosa più dolce che innamora essa l'ha già in sè stessa: non le serve cercarla altrove. Ma qualche volta sospirano di solitudine, le rose, questi esseri divini! Le rose ignoranti non capiscono i propri misteri.
"La prima di tutte le rose è Dio.
"Fra le due: la rosa e l'ape, secondo me, la più fortunata è l'ape. E l'Ape Regina, poi, ha una fortuna sovrana! Io, per esempio, sono nato Ape Regina. E tu, Wilhelm? Secondo me, tu, Wilhelm mio, sei nato col destino più dolce e col destino più amaro:
"tu sei l'ape e sei la rosa."

Wilhelm rimane un mistero fino all'ultimo, la sua leggenda incrementata da racconti e fantasie. Ma quando il sogno svanirà, la realtà sarà ancora più dolorosa, per Arturo.
Uno dei temi di questo libro, oltre al passaggio tra infanzia e giovinezza, è quello, a me sempre molto caro, della solitudine. Arturo è orfano di madre, che è morta dandolo alla luce; il padre, sebbene adorato, non è fatto per l'amore. Arturo cresce da solo nella selvaggia Procida, accompagnato solo dalla fedele cagna Immacolatella. Se da bambino questa condizione gli pesava solo in modo inconscio e si tramutava nel desiderio potentissimo di avere una madre e nell'immaginarsela come spirito dell'isola, crescendo e cominciando a prendere consapevolezza di sè stesso e della realtà diventa un'angoscia profonda e continua, che il suo orgoglio gli impedisce di mostrare. E così desidera baciare e ricevere baci, perchè non ne ha mai dati o ricevuti; e abbraccia, di nascosto, i tronchi degli alberi, fingendo che siano persone. Il quattordicenne Arturo, moro e scuro, orgoglioso e fiero, indipendente e arrabbiato, alla ricerca di amore e amicizia, fino alla consapevolezza, inconscia, che la vita adulta è questo: solitudine e lontananza dall'altro, ma continua ricerca di vicinanza.
Questo libro mi è piaciuto moltissimo, mi ha toccata, mi ha commossa (si, la Morante ci riesce). La scena del confronto tra Arturo e il padre è di una potenza emotiva rara; Arturo entra sotto pelle, intenerisce il lato materno e atavico che è in ogni donna (come nel caso di Useppe ne La Storia), ma ci coinvolge soprattutto come simbolo di ciò che, in un modo o in un altro, abbiamo passato tutti: la fine dell'innocenza come fine delle illusioni infantili, Procida che, da Itaca, prende infine l'aspetto di un'Isola Che Non C'è preservata dal dolore. Quando il dolore - che ci trova ovunque - riesce a trovare perfino Arturo è il momento della rottura definitiva dell'illusione di poter essere felice e giovane per sempre.
Con L'isola di Arturo la Morante vinse il premio Strega. Un premio meritatissimo, a mio parere. Più in generale, trovo che la Morante sia una scrittrice incredibile e mi meraviglia - e mi amareggia - che non trovi più spazio nella nostra storia della letteratura. Ma noi, che siamo più intelligenti dei programmi scolastici in quanto capaci di pensare autonomamente, possiamo decidere di dare alla Morante l'onore che si merita: quello tributato a una grandissima scrittrice, che esplora, con uno stile ricco e sfaccettato, la nostra Storia e, soprattutto, la nostra fragilità

Virginia 

sabato 17 settembre 2016

Book Haul di compleanno



Carissimi lettori del blog, dovete sapere che uno dei post (o dei video) che amo di più ha per oggetto i Book Haul. Si, lo confesso, provo un sottile piacere misto a dolore (50 sfumature mi fa un baffo) nel contemplare tutti i vostri acquisti e nel veder aumentare vertiginosamente la mia wl senza muovermi da casa.
Questa volta, però, il Book Haul è il MIO.
Ebbene si. Dovete sapere che l'8 settembre cade il mio compleanno e, da non so quanti anni a questa parte, ho finalmente ricevuto LIBRI. Fra l'altro, sottolineo che sono stati pilotati, perchè ho fornito io la lista da cui scegliere per essere almeno un briciolo sorpresa, ma dettagli. Quel che conta è che ho cominciato a livellare (illusa!) la mia wl, ricevendo in dono dei libri meravigliosi, bellissimi e bla, bla, bla.
Ma iniziamo subito, perchè non sto nella pelle dall'idea di condividere con voi le new entry della mia libreria!

Non poteva assolutamente mancare l'ultima pubblicazione Collins targata Fazi Editore. Dovete sapere che ho scoperto di amare follemente Wilkie Collins e i suoi romanzi mattone di mistero, amore, intrighi, tradimenti e indagini poliziesche. Si, è un mio guilty pleasure, e la Fazi non mi aiuta sicuramente, con queste cover bellissime ed eleganti. Lo ammetto: preferisco spendere di più e accaparrarmi l'edizione Fazi che non risparmiare e comprare la Newton Compton.
Sorry not sorryxD

La pietra di Luna, prezioso e antico diamante giallo originario dell’India, dopo una serie di avventurose vicissitudini sopportate nel corso dei secoli, giunge in Inghilterra e viene donata a una giovane nobildonna di nome Rachel Verinder nel giorno del suo diciottesimo compleanno. Il gioiello, di valore inestimabile, scompare in circostanze misteriose quella notte stessa e un famoso investigatore, il sergente Cuff, viene incaricato di ritrovarlo. L’indagine, per quanto accurata, non porta ad alcun risultato e causa, anzi, sgomento e confusione sia tra i membri della famiglia Verinder che nella servitù. Il romanzo, in cui tutti i personaggi sono apparentemente innocenti ma allo stesso tempo possibili colpevoli, si sviluppa seguendo le sorti della pietra di Luna, in un groviglio di eventi drammatici raccontati, di volta in volta, dai diversi protagonisti.
A fare da sfondo a questo giallo così magistralmente costruito c’è una romantica storia d’amore che, insieme alla suspense e alla curiosità, tiene il lettore avidamente inchiodato al libro dalla prima all’ultima pagina. Unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi capolavori di Wilkie Collins, La pietra di Luna, alla sua uscita nel 1868, consacrò il clamoroso successo dell’autore e riuscì addirittura a destare l’invidia di Charles Dickens, suo grande amico e maestro.
«Probabilmente il miglior romanzo poliziesco mai scritto».
G.K. Chesterton
«Il primo e il più grande romanzo poliziesco inglese, un genere scoperto da Collins, non da Poe».
T.S. Eliot
«Un testo esemplare. Un romanzo ragguardevole, avvincente, opportunamente fluviale e, insieme, un libro-simbolo del noir».
«Panorama»
«L’impero, la grande tradizione letteraria, l’immobilità sociale, l’ironia e il patetico, l’ordine e la trasgressione. C’è molta Inghilterra vittoriana in questo poliziesco. Il pubblico, e Dickens, lo capirono».
«Il Sole 24 Ore»


Dovete sapere che quest'inverno mi sono follemente innamorata di John Steinbeck. Di suo ho letto, per ora, solo Furore e La valle dell'Eden (uno più bello dell'altro, capolavori assoluti), ma poi mi sono fermata. Ho dunque inserito in lista un altro suo romanzo (racconto lungo, più che altro) estremamente famoso, che mi incuriosisce da tempo. Spero che sia all'altezza degli altri due, ma sarebbe ingiusto paragonare un racconto di poco più di 100 pagine con due mattoni di 600 e passa.

Pensato per un pubblico - i braccianti della California - che non sapeva né leggere né scrivere, "Uomini e topi" (1937) è un breve romanzo, ricco di dialoghi, che, nelle intenzioni di Steinbeck, avrebbe dovuto essere in seguito adattato, come difatti avvenne, per il teatro e per il cinema. Protagonisti, due lavoratori stagionali, George Milton, e l'inseparabile Lennie Little, un gigante con il cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli uomini sospingono verso una fine straziante. Il ritratto di un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella drammatica rappresentazione di un maestro.




Dopo La Storia, non potevo certo fermarmi con Elsa Morante:) Ero un po' indecisa se chiedere questo o Menzogna e sortilegio, ma dopo la bellissima recensione di Athenae Noctua de L'isola di Arturo ho deciso che il prossimo titolo doveva essere questo:)

Il romanzo è un'esplorazione attenta della prima realtà verso le sorgenti non inquinate della vita. L'isola nativa rappresenta una felice reclusione originaria e, insieme, la tentazione delle terre ignote. L'isola, dunque, è il punto di una scelta e a tale scelta finale, attraverso le varie prove necessarie, si prepara qui, nella sua isola, l'eroe ragazzo-Arturo. È una scelta rischiosa perché non si dà uscita dall'isola senza la traversata del mare materno; come dire il passaggio dalla preistoria infantile verso la storia e la coscienza.


Questo libro ha una storia strana. Lo avevo adocchiato in libreria più di un anno fa, però costava troppo. Un giorno decisi di comprarlo: all'uscita dal corso lo avrei preso. Quel pomeriggio, però, uscii con un'amica e con quei soldi mi comprai un vestito.
A dimostrazione che un vestito si dimentica ma un libro è per sempre, il vestito lo indossai una volta e il libro non comprato mi rimase sul gozzo, fino ad ora. Sono impaziente di leggerlo e spero proprio che sia all'altezza delle mie aspettative (fra l'altro, è il mio primo Iperborea*-*).

Ci sono libri che danno pura gioia, facendo vibrare dentro di noi tutte le corde del nostro amore per la lettura: il racconto trascinante unito a temi che ci toccano nel profondo, la suspense e l’avventura e un sottile gioco letterario che stimola la nostra complicità, una documentata ricostruzione storica e il fascino di personaggi più grandi del reale, nati già immortali. È quel che capita con il romanzo di Björn Larsson: ci ritroviamo adulti a leggere una storia di pirati con lo stesso gusto dell’infanzia, riscoprendo quella capacità di sognare che ci davano i porti affollati di vascelli, le taverne fumose, i tesori, gli arrembaggi, le tempeste improvvise e le insidie delle bonacce, come anche il semplice incanto del mare e la sfida libertaria di ribelli contro il cinismo dei potenti. In più con la sorpresa di vederci restituito, in tutta la sua ambigua attrazione e vitalità, uno dei personaggi che davano a quell’infanzia l’emozione della paura: chi racconta in prima persona è Long John Silver, il temibile pirata con una gamba sola dell’Isola del Tesoro, fatto sparire da Stevenson nel nulla per riapparirci ora vivo e ricco nel 1742 in Madagascar, intento a scrivere le sue memorie. E non è solo a quell’“e poi?” che ci veniva sempre da chiedere alla fine delle storie che risponde Larsson, è al prima, al durante, al dietro: com’era il mondo all’epoca della pirateria, i legami con il commercio ufficiale, la tratta degli schiavi, il contrabbando, le atroci condizioni dei marinai, i soprusi dei capitani, il codice egualitario dei pirati, le loro efferatezze e quelle contro cui si ribellavano, le motivazioni e le ingenuità dei grandi “gentiluomini di ventura”. Ma è a un personaggio letterario che è affidato il compito di rivelare la “verità”, un personaggio cosciente di esistere solo nelle parole, che dialoga in un pub di Londra con Defoe fornendogli notizie per la sua storia della pirateria, che risponde a Jim Hawkins dopo aver letto L’Isola del Tesoro, e che, in quel continuo gioco di rimandi, indaga sul rapporto tra realtà e invenzione, sete di vivere e bisogno di immortalità, solitudine e libertà, con la consapevolezza che non esiste altra vera vita di quella che raccontiamo a noi stessi.




E infine, il meglio (per modo di dire, perchè io li amo tutti, tutti*-*). 
Ho letto questa trilogia quest'inverno e l'ho amata. Profondamente, visceralmente, intensamente. L'ho amata così tanto che, quando l'ho chiusa, ho sentito un vuoto, così tanto che la didascalia del blog (My spirit is forever free) viene da qui, così tanto che ho rotto le balle a mia sorella finchè non l'ha letta, nonostante sia in inglese. 
Insomma, ho amato questi libri. Tantissimo. 
Mia sorella mi ha fatto una sorpresa e mi ha regalato il cartaceo dell'intera trilogia.
Non potete capire cosa questo significhi per me. Io amo questi libri, li farei leggere a tutti, e amo questa scrittrice. Avere la trilogia in cartaceo è meraviglioso e sto ancora fangirlando.

Its name is spoken only in whispers, if the people of Alban dare to speak it at all: Shadowfell. The training ground for rebels seeking to free their land from the rule of the tyrannical king is so shrouded in mystery that most believe it to be a myth.
But for Neryn, Shadowfell’s existence is her only hope. She is alone and penniless, a fugitive concealing a magical power that will warrant her immediate enslavement should it be revealed. She finds hope of allies in the Good Folk, fey beings who taunt her with chatter of prophecies and tests; and in a mysterious stranger who saves her from certain death but whose motives remain unclear.
Will Neryn be forced to make the dangerous journey alone? She must reach Shadowfell, not only to avenge her family and salvage her own life, but to rescue Alban itself.

Questi sono i libri, anche se manca il regalo dei miei nonni. Ma per quello, quando lo avrò, vi piazzerò una bella foto su InstagramxD
Bene bene, questo per ora è tutto! Ci risentiamo:-*

Virginia


venerdì 12 agosto 2016

Recensione:La Storia di Elsa Morante

Titolo: La Storia
Autore: Elsa Morante
Casa editrice: Einaudi
Numero di pagine: 657
Formato: Cartaceo
A La Storia, romanzo pubblicato direttamente in edizione economica nel 1974 e ambientato a Roma durante e dopo l'ultima guerra (1941-1947), Elsa Morante ha consegnato la massima esperienza della sua vita.
Questa è la sua opera più letta e, come tutti i libri importanti, anche quella che ha fatto più discutere. Cesare Garboli, nell'introduzione a questa edizione, traccia un bilancio critico sul romanzo a oltre vent'anni dalla prima pubblicazione.
Completano il volume la cronologia della vita e delle opere, la bibliografia generale e quella specifica relativa al dibattito su La Storia.


"Non c'è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perchè della loro morte."
- Un sopravvissuto di Hiroshima 

La Storia è uno di quei romanzi che tutti conoscono e pochi hanno letto. Elsa Morante è famosa e spesso la si ritrova tra le letture scolastiche, eppure nelle scuole - per quella, almeno, che è poi stata la mia esperienza - non se ne parla quasi.
Mi intimoriva questo romanzo di 600 e passa pagine. Ma desideravo leggerlo da troppo tempo e, con la scusa di un regalo con l'acquisto di due Einaudi Tascabili, me lo sono portato a casa.

Se dovessi riassumere la trama di questo romanzo, mi troverei in difficoltà. Di fatto, in 657 pagine di eventi ce ne sono singolarmente pochi. Se ci penso, mi viene in mente una lunga, ininterrotta narrazione-fiume, con pochi ma vividi personaggi.
La primissima cosa che mi ha colpita di questo libro è stato lo stile. L'italiano della Morante è bellissimo: vivo, palpitante e duttile. Mi ha incantata e mi ha fatta tornare bambina, innamorata delle parole. In queste pagine ho ritrovato l'Italia: i dialetti del Sud e del Nord, le espressioni colloquiali e quelle più ricercate, e una freschezza e un incanto del narrare che mi hanno avvinto, facendo scorrere le pagine senza che me ne accorgessi.
Era da tantissimo tempo che un libro non mi incantava a questo livello basilare, puramente linguistico.
Subito dopo, però, sono venuti i personaggi, vero motore di questo romanzo. A partire da Gunther, il soldato tedesco che apre questa storia (che è solo una piccola, ignorata parentesi nella Storia), fino ad arrivare a Ida, Ninnuzzu, Useppe, Davide e i vari comprimari che, di volta in volta, mescolano le loro esistenze con quelle della nostra piccola famigliola, senza dimenticarsi degli animali: Blitz, Bella, Rossella e i due canarini, Peppiniello e Peppiniella. Per ognuno di loro, la Morante trova spazio, nel suo libro di ognuno riesce a raccontare i pensieri e le angosce. E ognuno di loro riesce a conquistarsi un pezzetto del cuore del lettore, anche se il grosso va ai tre protagonisti: la fragile, timorosa Ida e i suoi figli, Ninnuzzu, così egoisticamente, gioiosamente pieno di vita, e Useppe, quel piccolo raggio di sole.
I personaggi sono vivi, tridimensionali e sembrano uscire dalla pagina e toccare il lettore: con la loro gioia, la loro tristezza, le loro paure.
La Storia è un libro triste. Non è manierato o stucchevole; non cade in facili pietismi, nonostante il periodo storico in cui è ambientato e gli eventi che narra. I protagonisti fuggono da un luogo all'altro, lottano contro la fame e la solitudine, hanno paura. Eppure, la sensazione che più di tutte mi prendeva leggendo queste pagine era la tristezza.
Tutti i personaggi, in un modo o nell'altro, mi hanno colpito. Vorrei però spendere due parole su uno di essi, Davide. Sensibile - fin troppo - e combattuto, frutto di una "generazione della violenza" cui sono stati portati via i sogni e sbriciolate le convinzioni, precipita in una spirale di autodistruzione e solitudine sempre più profonda. Credo che sia lui a esprimere le convinzioni stesse della scrittrice sulla Storia.
Questo libro mi ha commossa, mi ha fatta piangere. Mi ha spezzato il cuore, ed erano fin troppi anni che non mi succedeva una cosa del genere. Una storia nella Storia, i cui protagonisti siamo noi e la vita di tutti i giorni, incastonati in un quadro molto più ampio e per cui siamo, a un tempo, inutili e necessari.

"...hai nascosto queste cose ai dotti e ai savi
e le hai rivelate ai piccoli...
...perchè così a te piacque."
- Luca X-21

Virginia