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lunedì 5 dicembre 2016

Recensioni in pillole: Benedizione di Kent Haruf e Lizzie di Shirley Jackson

Buon lunedì cari lettori, e buon inizio settimana! Oggi vi accolgo con alcune recensioni arretrate che, per mia comodità, ho dovuto accorpare e accorciare, in modo da farne uscire un unico post. Mettetevi comodi, quindi, e lasciate che vi delinei un po' il mio parere su queste letture.

Titolo: Benedizione
Autore: Kent Haruf
Traduttore: Fabio Cremonesi
Casa editrice: NN Editore
Numero di pagine: 280
Formato: Cartaceo
Nella cittadina di Holt, in Colorado, Dad Lewis affronta la sua ultima estate: la moglie Mary e la figlia Lorraine gli sono amorevolmente accanto, mentre gli amici si alternano nel dare omaggio a una figura rispettata della comunità.
Ma nel passato di Dad si nascondono fantasmi: il figlio Frank, che è fuggito di casa per mai più tornare, e il commesso del negozio di ferramenta, che aveva tradito la sua fiducia. Nella casa accanto, una ragazzina orfana viene a vivere dalla nonna, e in paese arriva il reverendo Lyle, che predica con passione la verità e la non violenza e porta con sé un segreto. Nella piccola e solida comunità abituata a espellere da sé tutto ciò che non è conforme, Dad non sarà l’unico a dover fare i conti con la vera natura del rimpianto, della vergogna, della dignità e dell’amore.
Kent Haruf affronta i temi delle relazioni umane e delle scelte morali estreme con delicatezza, senza mai alzare la voce, intrattenendo una conversazione intima con il lettore che ha il tocco della poesia.

Questo libro è per chi ama rileggere i classici e vorrebbe perdersi negli sconfinati spazi della pianura americana (o nelle fotografie di Robert Adams), per chi desidera un cappello da cowboy anche se forse non lo indosserà mai, per chi nutre una sorta di fiducia razionale nel genere umano e crede che le verità gridate siano sempre meno vere di quelle suggerite con pudore.
“Benedizione conferma che non c’è fine alle storie che Haruf può raccontarci né c’é fine al suo regalarci ogni volta uno linguaggio duraturo e bellissimo.” – Paul Elie, The New York Times Book Review
“Abbiamo atteso a lungo di essere nuovamente invitati a Holt, luogo dove si svolgono i romanzi
di Kent Haruf.” – Ron Charles, Washington Post
“Meraviglioso… il mondo di Kent Haruf è popolato da individui la cui vita ordinaria assume toni
di epicità e di verità universale.” – Niall Williams, Sunday Times
“È dai tempi di Hemingway che l’America non ha un autore in grado di innescare una simile empatia con il lettore. Uno dei nostri migliori autori viventi.” – Bruce Machart, The Houston Chronicle

Quest'estate Kent Haruf è stato il protagonista di una nuova moda letteraria, qui in Italia. Portato da noi dalla NN Editore, piccola ma valida casa editrice indipendente (e di cui voglio assolutamente leggere altro!), c'è stato un momento in cui, guardandomi attorno, non leggevo che recensioni sulla tanto amata Trilogia della pianura. A quel punto, inserire il primo libro nella lista dei regali di compleanno è stato un obbligo.
Haruf ci racconta una storia di triste quotidianità: Dad Lewis, stimato cittadino di Holt, ha da vivere poco più di un mese. Tempo che impiegherà nel ripercorrere la sua vita, nel congedarsi dai luoghi che ha amato, nel chiudere il cerchio di ciò che era rimasto aperto, nell'accettare ciò che gli è rimasto dentro, come un macigno, per tutta la vita. Accanto a lui c'è la compagna di una vita, Mary, la figlia Lorraine, gli amici e i vicini, tutti protagonisti della storia di Haruf, tutti ugualmente coinvolti in quel clima di malinconico rimpianto con cui si riguarda il passato e ci si rende conto del tempo passato, degli errori, delle possibilità perse.
Haruf ha una scrittura scarna ed essenziale. Al lettore il compito, nel corso della lettura, di tirare le somme e riempire i vuoti di una storia che, forse, non vuole essere altro che l'istantanea di un momento di un racconto lungo una vita. C'è un senso di malinconia e raccoglimento, nel momento in cui si chiude il libro; il desiderio di tornare a Holt e penetrare ulteriormente in un luogo che è tutti i luoghi, abitato da un'umanità che non viene mai idealizzata ma solo mostrata nei suoi pregi e difetti da una scrittura quieta e quasi pudica, che affonda oltre il velo dell'ipocrisia e dell'apparenza ma lo fa con la delicatezza del predicatore, che ascolta i peccati e poi, nonostante tutto il marcio che ha visto, benedice ugualmente la platea.
Haruf non rinuncia a un messaggio finale di speranza. Benedizione ci narra di una morte e del progressivo addio alla vita che aspetta tutti, nessuno escluso. Nonostante ciò, rigira le carte in tavola e ci mostra come la vita sia sempre più forte, più rumorosa e ingombrante della morte.

Titolo: Lizzie
Autore: Shirley Jackson
Traduttore: Laura Noulian
Casa editrice: Adelphi
Numero di pagine: 318
Formato: Cartaceo
Opera della maestra del thriller nero, venerata da Stephen King, Lizzie è il primo grande romanzo delle personalità multiple. La protagonista, Elizabeth Richmond, ventitré anni, i tratti insieme eleganti e a­nonimi di una «vera gentildonna» della provincia americana, non sembra avere altri progetti che quello di aspettare «la propria dipartita stando il meno male possibile». Sotto un'ingannevole tranquillità, infatti, si agita in lei un disagio allarmante che si traduce in ricorrenti emicranie, vertigini e strane amnesie. Un disagio a lungo senza nome, finché un medico geniale e ostinato, il dottor Wright, dopo aver sottoposto la giovane a lunghe sedute ipnotiche, rivelerà la presenza di tre personali­­tà sovrapposte e conflittuali: oltre alla stessa Elizabeth, l'amabile e socievole Beth e il suo negativo fotografico Betsy, «maschera crudele e deforme» che vorrebbe fagocita­re e distruggere – con il suo «sorriso laido e grossolano» e i suoi modi sadici, insolenti e volgari – le altre due.
È solo l'inizio di un inabissamento che assomiglierà, più a che un percorso clinico coronato da un successo terapeutico, a una discesa amorale e spietata nelle battaglie angosciose di un Io diviso, apparentemente impossibile da ricomporre: tanto che il dottor Wright sentirà scosse le fondamenta non solo della sua dottrina, ma della sua stessa visione del rapporto tra l'identità e la realtà.


Da tempo Shirley Jackson mi attirava e, dopo una recensione e un fortuito ritrovamento in biblioteca, ho deciso di iniziarmi a quest'autrice con un'opera minore. La trama mi intrigava molto e mi sono immersa nella lettura con tutte le migliori intenzioni di questo mondo. Purtroppo, nel momento in cui l'ho chiuso, ho dovuto fare i conti con una certa delusione. Lizzie è senz'altro un libro scorrevole, ma sicuramente non mi ha colpita come speravo facesse.
Non ho critiche o lodi  particolari da fare. A dire il vero, non mi ha ispirato emozioni particolari e mi ritrovo quasi un po' in imbarazzo, dal momento che non so bene cosa scrivere.
Nonostante tutte le domande scaturite all'inizio, la lettura non mi ha dato completa soddisfazione e la madre di Lizzie, personaggio chiave nel passato e nel trauma della ragazza, rimane un personaggio sfuggente e misterioso. Allo stesso modo, ogni personaggio sembra sfuggire a una facile identificazione e rimane sempre un po' ambiguo (con l'eccezione del dottore, probabilmente). Credo che non mi abbia fatto impazzire principalmente perchè datato: dopotutto abbiamo materiale medico in esame ed è impossibile non notare la differenza con i libri di oggi che trattino gli stessi argomenti.
In definitiva, un libro che non mi ha lasciato molto ma che, comunque, non mi impedirà di provare qualche altra opera di questa scrittrice, magari un po' più celebre e,  spero, migliore.

Virginia