venerdì 27 ottobre 2017

CineRecensione#14: Goong

Anno: 2006
Episodi: 24
Categoria: KDrama

Siamo in una Corea alternativa. La differenza fondamentale è che c'è ancora la monarchia e una famiglia reale un po' sulla scia di quella inglese. Quando il re mostra segni di cattiva salute, si decide di far sposare il principe ereditario, Lee Shin, di soli 19 anni. Ma c'è un precedente accordo per il matrimonio del principe, che è stato combinato molti anni prima con una ragazza di origini modeste, casualmente sua compagna di scuola, la comunissima Chae Kyeong. Shin accetta per dovere e Chae Kyeong per aiutare la sua famiglia, economicamente in difficoltà. I due ragazzi hanno caratteri opposti. Come finirà la loro convivenza?

Buon venerdì a tutti! Siamo ormai arrivati al finesettimana e io oggi torno a parlarvi di drama coreani. Lo so, ultimamente sul blog hanno latitato, ma solo perchè sono lenta a vederli e ne avevo beccato uno che non mi aveva presa per nulla (e io scema che l'ho finito comunque-.-). Fatto sta che la mia passione continua, non si è fermata e, se da una parte non vedo l'ora di potervi parlare della mia visione in corso (CAPOLAVORO*-*), penso che anche Goong abbia diritto a un suo post personale. 
Questo drama è uno dei classici, ovvero uno di quei drama di ormai qualche anno fa e di grande successo che devono entrare, prima o poi, nel curriculum di ogni doramista degno di questo nome. Io li ho ormai visti quasi tutti (i più nominati, oltre a Goong, sono Boys over flowers, Heirs, Coffee prince, Secret garden e You're beautiful, tanto per farvi i nomi), ma immagino che qualcuno ancora manchi - sentitevi liberi di consigliarmi, se sapete qualcosa in materia.
Detto questo, partiamo dalla recensione.
Questo è un drama che si sviluppa con calma. Non è uno di quelli che ti tengono sempre col fiato sospeso, ma ha un suo proprio ritmo e ti conquista pian piano, finchè non arrivi alla fine e non ti rendi conto di esserti affezionato a tutti i personaggi e che i temi trattati sono stati piuttosto importanti, accostati come al solito a una trama in cui si alternano il filone romantico e quello degli intrighi.
La prima cosa su cui vorrei concentrarmi è lo sviluppo e l'approfondimento dei due protagonisti, Shin e Chae Kyeong.
Non potrebbero essere più diversi, nel momento in cui si ritrovano a sposarsi. Lui è cresciuto per essere re: è freddo, scostante e un po' arrogante. Agli inizi è difficile farselo piacere, ma conoscendolo meglio cominciamo a capire quanto solitaria e arida sia stata la vita di Shin. Incatenato al suo ruolo fin dalla più tenera età, è un giovane uomo carico di doveri e responsabilità, che non ha quasi avuto amici o affetto vero, perchè nel Palazzo i ruoli vengono prima delle persone e la formalità strangola ogni barlume di vero sentimento. Per questo diventa freddo, quasi insensibile. Comincia a capire che la vita può riservare altro nel momento in cui sposa chae Kyeong. Lei è il suo esatto opposto: è spontanea, sincera, ingenua e un bel po'  immatura. La persona meno adatta per diventare regina all'apparenza, e in effetti abituarsi a questa vita totalmente diversa da ciò a cui era stata abituata fino a quel momento è dura. A rendere tutto più facile e complicato a un tempo è il rapporto con Shin. Il maggior problema fra i due nasce da una comunicazione completamente sbagliata, come capiamo ben presto con l'andare avanti degli episodi. Lui, semplicemente, non sa comunicare. È stato sempre il principe, circondato da servitori e senza amici, In tutti questi anni di rapporti superficiali, non ha imparato a comunicare. Non sa chiedere scusa nè gestire le emozioni, perchè non è abituato a provarne di così intense. E Chae Kyeong, senza farlo apposta, non fa che scuoterlo dalla sua apatia: lo fa arrabbiare, ingelosire, divertire. In definitiva, lo fa innamorare, ma l'amore per una personalità simile è difficile da gestire. Il suo personaggio maturerà moltissimo e il Shin dell'ultimo episodio è molto diverso da quello del primo.
Lo stesso può dirsi per Chae Kyeong. Il suo è un processo opposto: laddove Shin si ammorbidisce, lei si indurisce. Perde parte della sua spontaneità nel mondo formale e rigido dei reali e, soprattutto, cresce. Impara a confrontarsi con situazioni mai immaginate e ne esce più forte - anche se con un po' di amarezza e disillusione in più. In definitiva, mi sono piaciuti entrambi molto e li ho trovati molto ben assortiti come coppia.
Ma com'è la vita a Palazzo?
Non è rosa e fiori, nonostante ciò che sembra dall'esterno. I reali sono pieni di obblighi e non hanno un momento di pace, sono incatenati ai loro doveri nei confronti del popolo. L'arrivo di Chae Kyeong è come una ventata d'aria fresca, in questo ambiente. La sua goffaggine e inesperienza si attirano la disapprovazione di una parte della famiglia e il divertimento dell'altra. 
Ma uno dei temi principali di questo drama sono il futuro e i sogni. Shin e Chae Kyeong sono entrambi molto giovani ma già sposati e carichi di responsabilità. La corona non lascia spazio ad altro e ogni sogno viene accantonato. La famiglia reale è tutto meno che libera e immaginatevi come reagisce una ragazza qualunque di 19 anni che, all'improvviso, ha sempre guardie del corpo o servitori alle calcagna e che non può più neanche andare a mangiare fuori con le amiche. Che ne è dei suoi sogni? Goong ci parla anche della difficoltà di diventare grandi, quando i sogni si scontrano con la realtà e dobbiamo imparare a scendere a compromessi.


Ci sono poi un sacco di personaggi secondari e di intrighi. Siamo a Palazzo, del resto, e si sa che nei luoghi del potere qualcuno che cospira c'è sempre.
Così come ci sono anche quei personaggi di cui ti innamori, come l'adorabile nonna di Shin o i divertentissimi genitori di Chae Kyeong.
Come dicevo all'inizio, è un drama che ingrana lentamente ma che lascia un bel ricordo. Non uno dei miei preferiti ma sono felice di averlo visto.
E ora, come da tradizione, vi lascio la canzone che mi è piaciuta di più*-*




Buon finesettimana a tutti:)

Virginia


lunedì 23 ottobre 2017

Recensione: Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood

Titolo: Il racconto dell'ancella
Autore: Margaret Atwood
Traduttore: Camillo Pennati
Casa editrice: Ponte alle Grazie
Numero di pagine: 398
Formato: Cartaceo

In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c'è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull'intreccio tra sessualità e politica. Quello che l'ancella racconta sta in un tempo di là da venire, ma interpella fortemente il presente.

Buongiorno a tutti e buon inizio settimana! Oggi vi parlo di un libro piuttosto chiacchierato fino a qualche tempo fa, regalatomi da un'amica (grazie Fede:-*) per il mio compleanno.
Sebbene conoscessi questo romanzo da anni, non mi aveva mai attirata (il distopico non è il genere che prediligo e la trama non mi ispirava troppo). Poi, con la serie tv, tutti hanno iniziato a recuperarlo e, in breve, mi sono trovata la bacheca di facebook invasa da commenti entusiasti. A questo punto la mia curiosità era fortissima e ho deciso di provare a dare un'opportunità a questo libro.
E sono felicissima di averlo fatto.
Pubblicato nel 1985, questo romanzo parla di argomenti che sono, purtroppo, tristemente reali e attuali. La questione femminile - argomento che molti uomini liquidano con una sbuffata - è sempre stata scottante. A dirla tutta, se guardiamo ai tanti secoli trascorsi e ai massacri che hanno sempre caratterizzato l'umanità, vediamo come la persecuzione e l'imposizione violenta nei confronti della donna siano sempre state una costante. In ogni circostanza, la donna è quella che più ha subito, e ancora subisce. La Atwood lo ha capito molto bene e ha gioco facile nel dipingere la civiltà Occidentale - quella che si è sempre ritenuta più avanzata - per quella che è, usando lo stratagemma del distopico per mostrare con più esattezza possibile come anche la società più evoluta covi in sè le stesse meschinità e intolleranze dei Paesi ritenuti culturalmente inferiori. 
In ragione di ciò, ovvero della sua profonda verosimiglianza e attualità, Il racconto dell'ancella è spaventosamente attuale e per questo turba. Turba perchè, decenni dopo la sua pubblicazione, i meccanismi di pensiero alla base di determinate azioni sono esattamente gli stessi, perchè è terribile vedere come si nasconda una volontà di dominio e supremazia disgustose dietro alla scusa più vecchia del mondo: lo facciamo per proteggervi. 

" Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell'anarchia, c'era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo."

Un tempo, in quelli che corrispondono abbastanza all'odierna situazione in Occidente, c'era la libertà di - ovvero, semplicemente, la libertà di fare. Nel bene e nel male - e nonostante le leggi, in alcuni casi - c'era il libero arbitrio. Ognuno ne fa poi ciò che vuole e ciò ha portato, nella realtà inventata dalla Atwood, alla libertà da. Le donne non devono più preoccuparsi di essere molestate, violentate; non devono lavorare, ma solo accettare il loro destino di madri. La donna vista come mero contenitore, il sesso finalizzato unicamente alla procreazione e alla continuazione della specie. Non per nulla la distopia di questo libro è a carattere teocratico, perchè mi sembra piuttosto evidente che la religione - nella sua forma più estrema, ovviamente - si è sempre accompagnata alla dittatura, ne è sempre stata la scusa. Si sono uccise più persone in nome di Dio che in nome di qualunque altro ideale. 
Dicevo, la donna come madre, unico modo in cui la donna può essere di una qualche utilità. Il sesso non per piacere ma per un fine più alto - solo per le donne, però. Gli uomini sono una questione a parte, che affronterò dopo. Questa visione della donna vi ricorda qualcosa? Una visione durata secoli e che, in fondo, continua a influenzarci? Magari nel momento in cui tutti si sentono in dovere di chiederti perchè non fai figli, se sei accompagnata e cominci ad essere grande, riservandosi il diritto di giudicarti, per questo. L'accoppiata donna/madre è una delle più profondamente radicate nella nostra cultura ed è difficile uscire da questi schemi. Peggio: la donna spersonalizzata, deumanizzata. La donna, di nuovo, come semplice contenitore.
Ma non tutto è oro quel che luccica (e qui non luccica proprio un bel niente). In una realtà dove la donna è "protetta", dove le Ancelle sono curate e vezzeggiate nella speranza di vederle partorire figli sani, il pregiudizio serpeggia. E così conosciamo un altro fenomeno fin troppo reale: quello delle donne che giudicano e disprezzano altre donne. Le Ancelle sono le puttane, quelle che si congiungono con uomini già sposati per procreare. Le Mogli le odiano - perchè si sentono rifiutate, perchè invidiano i loro grembi fertili; le Marte - le domestiche - le disprezzano, perchè non lavorano e vivono nel lusso. Con gli uomini, a parte i momenti del sesso - agghiaccianti, ma ne riparleremo - non c'è interazione, pena la morte. Le Ancelle sono avvolte in vesti rosse per distinguerle a colpo dì'occhio; vesti informi, che non mostrano le curve e non tentano; e portano velette bianche, che impediscono loro di spaziare con la vista. Camminano con la testa bassa e parlano piano e poco. Nella giornata non hanno altro da fare che fissare il vuoto nella loro stanza, rattrappite in sè stesse.

" Un letto, a una piazza. Materasso semiduro, coperto da un copriletto bianco di lana. Null'altro avviene nel letto che il dormire; o il non dormire. Cerco di non pensare troppo. Al pari di altre cose, adesso, il pensiero dev'essere razionato. Ci sono pensieri che diventano intollerabili quando ci si sofferma troppo. Il pensare può nuocere e io sono decisa a resistere. So perchè non c'è il vetro sull'acquerello di giaggioli blu, e perchè la finestra si apre solo in parte, e perchè è di cristallo infrangibile. Non temono che ce ne andiamo di nascosto. Non arriveremmo lontano. Temono altre fughe, quelle che puoi aprirti dentro, se hai un oggetto con un bordo tagliente."

Ciò che fanno è lasciarsi vivere. Ma alienata è la condizione di ogni donna. Gli unici ruoli che sono previsti per loro sono quelli di Ancella, Moglie e Marta. L'unica eccezione sono le Zie, esempio di come ognuno cerchi solo di preservare sè stesso in condizioni di crisi: donne che indottrinano altre donne. Ci credono davvero? Forse. Dopotutto, ci viene detto che furono molte le donne a gioire di questo ritorno ai "sani valori tradizionali", agli inizi. Di nuovo, vi ricorda qualcosa? Vi ricorda certi discorsi? Come commenta però Difred con amaro divertimento, sono state le prime vittime di sè stesse. Probabilmente non si aspettavano di rimanere intrappolate nella stessa maglia tessuta da loro. Perchè questo mondo non ha bisogno di donne che non siano uteri e le Mogli dei Comandanti sono le prime a vivere un'esistenza vuota, priva di significato. Il loro unico passatempo e filare per i soldati al fronte, farsi visita l'un l'altra, sperare ardentemente che l'Ancella di turno rimanga incinta, per potersi appropriare del figlio e togliersi finalmente di casa quel promemoria vivente della loro incapacità: non possono avere figli, sono sterili.

" Ora Rachele vide che non poteva partorire figli a Giacobbe, perciò Rachele divenne gelosa di sua sorella e disse a Giacobbe: << Dammi dei figli, altrimenti muoio. >> Giacobbe si adirò contro Rachele e rispose: << Tengo io forse il posto di Dio che ti ha negato il frutto del grembo? >>
Allora ella disse: << Ecco la mia serva Bilha. Entra da lei e lei partorirà sulle mie ginocchia; così anch'io potrò avere figli per suo mezzo >>

Genesi, 30; 1-3"

Questo pezzo, tratto dalla Bibbia, è posto a introduzione del romanzo e, scopriamo, è stato preso dal nuovo regime come giustificazione divina per quello che è, a tutti gli effetti, una poligamia, la giustificazione che si sono dati per un atto che la loro stessa religione non riconosce. Trovato un precedente nella Genesi, dunque, i vecchi e i potenti sfruttano le giovani per avere ciò che non possono avere: i figli. Tutto è partito, infatti, con la carenza cronica di figli, perchè molte donne non ne volevano avere e altre abortivano. Nel momento di massima (per ora) libertà decisionale della donna, un nuovo regime si afferma e, in nome del bisogno di popolare il mondo con nuove generazioni, toglie alle donne tutti i diritti. Ma anche alcuni uomini sono penalizzati da questo nuovo assetto, perchè il sesso può essere praticato solo con le Mogli o le Ancelle e solo chi può permettersele le ha. Succede dunque che sono i vecchi ad aver diritto alle Ancelle e serpeggia il dubbio che queste non rimangano incinta perchè a non essere più in grado sono i Comandanti stessi - ma non si può dire, è contro la legge. Allo stesso modo, i figli concepiti dalle Ancelle vengono loro subito sottratti e diventano di diritto figli delle Mogli, a loro volta sterili o, più spesso, vecchie. Altro sopruso, dunque: il vecchio sul giovane (ma siamo in Italia, no? Certe situazioni non ci giungono nuove).

" (...) Al centro, la tentazione era qualcosa di più che mangiare e dormire. Sapere era una tentazione. Ciò che non sapete non vi tenterà, diceva Zia Lydia.
Forse non voglio sapere veramente ciò che succede. Forse preferisco non sapere. Non sopporto di sapere. La Caduta è stata una caduta dall'innocenza al sapere. "

Altro concetto cardine: la tentazione - e il pericolo - della conoscenza. Su questo la letteratura si è espressa fin dai suoi primordi - dall'episodio biblico della mela (citato nel pezzetto stesso che vi ho riportato) fino a Leopardi e alla sua caduta delle illusioni. La conoscenza è bene o male? Il confine fra la conoscenza dannosa e il male necessario è sottilissimo e non fisso, oscilla continuamente. Una cosa però è sicura, oltre a tutta la teoria: la conoscenza è pericolosa. Non a caso ogni dittatura, come prima cosa, intacca il sapere: riforma le scuole, seleziona i libri, manipola le notizie. E, non sorprendentemente, la prima cosa che viene proibita alle donne è leggere. Le donne non possono leggere, sono private di ogni stimolo creativo e intellettuale (a che serve, siamo solo vagine, no?), che siano Marte, Mogli o Ancelle. La conoscenza è pericolosa perchè mostra altre realtà e può far pensare in maniera autonoma. I governi autoritari ci vogliono ignoranti per poterci plasmare. Non per nulla, Zia Lydia dirà che la loro è una generazione di passaggio, destinata a soffrire nell'adattamento, mentre le generazioni successive sarebbero state felici. Con "di passaggio" intende che loro possono ricordare un altro mondo, un'altra realtà, mentre con lo scorrere degli anni la memoria di ciò che è stata verrà manipolata, cancellata, finchè ognuno penserà che le cose non sono mai andate diversamente.
Una delle cose che più mi ha turbata, infatti, è la velocità con cui un regime all'apparenza del tutto opposto al vecchio si è imposto e come, a distanza di pochissimi anni (non è passato neanche un decennio) uomini e donne che ricordano bene un mondo molto diverso vi si siano adattati come se altre realtà non siano mai esistite. Ma in fondo, se ci pensiamo, è poi così che è sempre avvenuto. Sarebbe bello pensare che rivoluzioni così epocali abbiano incontrato strenua resistenza, ma la verità è che le peggiori dittature si sono instaurate con brevi tempistiche e senza quasi resistenza. Questo, a mio parere, un po' per la sorpresa e la paura ma anche, fondamentalmente, perchè si basano su paure ataviche e irrazionali, perchè si profilano in momenti di crisi e trovare un capro espiatorio alle sofferenze e difficoltà di un popolo ne assicura almeno un iniziale consenso (vi ricorda qualcosa?). Ma io non sono un'esperta e il fenomeno è sicuramente più complesso. Mi limito a riportare mie riflessioni.
Ultimissime considerazioni. Questo libro turba perchè parla di una realtà estrema ma assolutamente possibile (i Paesi islamici ne sono un esempio). Il suo merito è di non fare un discorso fine a sè stesso: la Atwood indaga sulla mentalità alla base di certe situazioni. Per questo è possibile che la distopia che costruisce si avveri: perchè noi per primi, oggi, diciamo le stesse cose. Le donne della nuova America sono alienate, usate, asessuate. Se una donna viene stuprata è perchè ha tentato, ha provocato; e l'uomo che, si sa, "ha le sue esigenze", non ha mai colpe. Questa è una società fatta da e per gli uomini. Quella della Atwood e la nostra, che ne è potenziale madre. Ma capiamoci bene: la Atwood non parla di odio per gli uomini, perchè il femminismo non è questo. La Atwood condanna il patriarcato, che è una struttura sociale promossa da uomini come da donne. Anche gli uomini sono alienati in una società simile e il libro della Atwood, pur concentrandosi per la maggior parte sulla condizione femminile, ce lo mostra bene.
A turbare è lo stile di questa scrittrice. Che, a mio modesto parere, scrive benissimo. La scrittura ha, in questo caso, una perfetta corrispondenza coi contenuti. È uno stile lento - la trama è poverissima -, quasi rattrappito in sè stesso, come la voce narrante. Difred si rinchiude, sprofonda in sè stessa e la scrittura lo riflette benissimo. Spezzato, con qualche accenno di stream of consciusness, non lineare. Ricordi, riflessioni ed eventi si susseguono; a volte Difred inventa e lo sappiamo solo dopo, ma le sue invenzioni, per lei come per il lettore, rendono talvolta torbida la realtà. E il finale è un esempio perfetto di questa eterna indeterminatezza, indeterminatezza che colpisce le donne in primis.
Questo libro mi è piaciuto moltissimo e mi ha dato molto materiale su cui riflettere. Mi ha turbata per la sua aderenza alla realtà, mi ha ammaliata con la sua scrittura. Lo consiglio a tutti, uomini e donne, e mi riservo di mettere le mani su tutto ciò che è reperibile in Italia di questa scrittrice.

Virginia



venerdì 20 ottobre 2017

Blogger Recognition Award



Buon venerdì a tutti, cari lettori! Sono stata nominata da Silvia di La nostra passione non muore ma cambia colore per questo premio e sono davvero onorata! Quindi eccomi qui, il prima possibile, a rispondere alle domande. Ma che genere di premio è mai questo? Semplicemente, un premio per blogger considerate meritevoli che non si ferma, però, a blog con meno di 200 iscritti, come il Libster Award, ma comprende tutta la blogosfera.
Detto questo, partiamo!
 1. Ringrazia il blogger che ti ha nominata e inserisci il link al suo blog
Quindi, di nuovo grazie Silvia per aver pensato a me! Consiglio a tutti di andare a visitare il suo blog, La nostra passione non muore ma cambia colore, che ha il pregio di trattare di una grande varietà di argomenti, tutti interessanti!
2. Scrivere un post per mostrare il proprio riconoscimento
Stare dietro a un blog è dura. Il tempo è poco e, dopo l'entusiasmo iniziale, mantenere vivo il proprio interesse diventa sempre più complicato. Non perchè passi la voglia di recensire (non per ora, almenoxD), ma perchè si scrive nei ritagli di tempo (magari la sera, con le palpebre tenute su con due stuzzicadentixD), perchè non si è mai contenti di ciò che si pubblica, perchè il mero atto di scrivere un articolo è il meno... Eppure sono felicissima di aver aperto Virginia e il Labirinto, perchè mi sta dando molte soddisfazioni. Il mio non è un blog grande, con molte iscrizioni e visualizzazioni, e credo che non lo sarà mai. Ma ogni volta che lo apro mi sento fiera di me e dei contenuti che porto. Sono felice di poter parlare di ciò che voglio, di farvi scoprire titoli finora sconosciuti. Ogni volta che qualcuno mi dice che l'ho incuriosito, io mi sento realizzata. 
Quindi, grazie. Grazie a tutti per esserci in questo viaggio. Speriamo di andare avanti ancora e, perchè no, di crescere:)
3. Raccontare la nascita del proprio blog
Uhm, ok. Faccio una confessione: prima di questo, gestivo un altro blog. Ma avevo sbagliato tutto e, quando me ne sono accorta e ho tentato di rimediare, avevo l'impressione che fosse ormai tardi. Così, dopo qualche mese di "accanimento terapeutico", ho deciso di ricominciare da zero: nuovo blog, nuovo profilo, nuova piattaforma. Mi ci è voluto un bel coraggio perchè, dopo il fallimento del primo, pensare di impegnarmi e di avere la stessa fredda accoglienza mi spaventava, mi deprimeva. Però mi sono buttata e, dopo i primi tempi, l'impegno ha dato i suoi frutti. Ripeto, non saranno chissà che frutti, però sono tutti farina del mio sacco, nessuno mi ha regalato niente, non avevo amiche pronte a sostenermi fin dal primo giorno. E così è nato il Labirinto:)
4. Dare consigli ai nuovi blogger
Ok, non mi sento proprio all'altezzaxD Posso solo dirvi, senza essere una maestrina, ciò che mi ha insegnato l'esperienza, a partire da due blog - e due risultati - ben distinti:
- INTERAGIRE. Se pensate di stare lì, pubblicare, e vedere magicamente aumentare gli iscritti e i commenti, be', avete visto un bel sogno. Bisogna cercare la collaborazione degli altri blogger, far conoscere il proprio nome. E non sto parlando di piazzare, in un commento a un post neanche letto, il link del vostro blog. Interagite con gli altri blogger, commentate i loro articoli, dite la vostra. E, dopo un po', i risultati si vedranno.ù
- COSTANZA. Ecco, qui pure io non sono proprio un modello, ma mi sto impegnando. Abbandonare per settimane - mesi - il proprio blog è il modo migliore per farlo affondare il più rapidamente possibile. Per questo motivo, credo che sia il caso di trovare un ritmo, conforme ai propri impegni. Diciamoci la verità, non tutti possiamo permetterci di pubblicare un articolo al giorno. Per parte mia, cerco di pubblicare almeno due volte a settimana (sogna Virginia, sogna), di più non riesco proprio. 
- QUALITÀ. Un'altra cosa in cui credo molto è di cercare di portare degli articoli che siano interessanti. Non solo per il lettore ma soprattutto per voi. Se un argomento vi appassiona, non vedo perchè non dovreste parlarne e, magari, contagiare qualcun'altro. Il blog è vostro, potete farci quel che volete. Vedo sul web un sacco di articoli che trovo estremamente inutili e noiosi, usati come riempitivo. Credo sia meglio pubblicare una volta di meno che non pubblicare in maniera meccanica, senza essere davvero interessati o proporre un articolo con dell'effettivo contenuto. 
- RISPONDERE AI COMMENTI. Eccolo, il punto dolente. Se qualcuno mi commenta, è giusto che io risponda, altrimenti che senso ha chiedere a qualcuno di spendere tempo prezioso per lasciarmi un commento. Si può rispondere anche con calma (io per prima non rispondo subito), ma l'importante è farlo, prima o poi.
Ecco, questi sono i miei consigli. Ci tengo però a sottolineare che non sono perfetta e che io per prima, purtroppo, vengo meno a queste regole. Però ci provo e, ve l'assicuro, ho visto una differenza abissale con il blog precedente!
5. Nominare altri 15 blogger ai quali vuoi passare un segno di riconoscimento
Non mi uccidete, ma credo che non nominerò nessuno. Prossimamente, infatti, ci ritroveremo subissati da questo premio, ne sono sicura, e non vorrei nominare sempre lo stesso blogger. I blog che mi piacciono sono quelli segnati nella colonna a lato, quelli che seguo il più rigorosamente possibile. 

Detto questo, ringrazio ancora Silvia per il premio e vi auguro un buon weekend! Ci vediamo la settimana prossima, spero con la recensione di un libro bellissimo che sto leggendo proprio in questi giorni:)

Virginia

venerdì 13 ottobre 2017

CineRecensione#13: Black Mirror (I-II-III stagione)

Anno: 2011
Episodi: 3 (I); 4 (II); 6 (III)
Produttore: Netflix

Di solito inserisco qualche riga di trama nelle mie CineRecensioni (non scritta da me), ma questa volta no e dico subito il motivo: Black Mirror non ha una trama effettiva. Ogni stagione è un susseguirsi di episodi che cambiano ogni volta personaggi, ambientazione e trama e l'unica cosa che hanno in comune è la tecnologia, vera protagonista della serie.

Per questo motivo, mi limiterò a parlarvi dei singoli episodi che più mi hanno colpita, concludendo poi con qualche riflessione generale.

- Messaggio al Primo Ministro (1/01)


Il primo episodio è uno shock. Ed io ero stata avvertita, perchè è stata mia sorella a vedere per prima questa serie, a parlarmene di volta e in volta e poi a spronarmi a vederla. Quindi, ero preparata. Ma nonostante ciò, ho finito l'episodio con un fortissimo senso di nausea. La trama è presto detta. Una notte il Primo Ministro inglese viene informato che una delle principesse reali è stata rapita. Su Youtube è apparso un video, dove la ragazza, sotto istruzioni del rapitore, ha comunicato le condizioni del suo rilascio: il Primo Ministro deve avere un rapporto sessuale con un maiale, completo e non finto, e ripreso in diretta nazionale. Se non verrà fatto nel giro di 24 ore, la principessa verrà uccisa.
Una trama particolare a dire poco, per un primo episodio che ha il merito (?) di tenere incollati allo schermo, prima scettici, poi increduli, infine disgustati, esattamente come il Primo Ministro. Una riflessione su quanto l'opinione altrui (opinione pubblica nel caso del Primo Ministro) ci manovri, un tema molto importante per questa serie tv e che verrà affrontato ancora una volta. Da notare che qui la tecnologia è ancora a un livello contemporaneo, molto lontano dai livelli fantascientifici di tutti gli altri episodi.

- Orso Bianco (2/02)


Una donna si sveglia in una stanza. Non ricorda nulla, neanche il suo nome, e ha un gran mal di testa. Nel momento in cui esce fuori di casa, si trova a vivere un incubo. Circondata da persone che non fanno altro che filmarla continuamente col cellulare, verrà presa di mira da persone mascherate che brandiscono ogni genere di arma e cercano di ucciderla. L'unica speranza è raggiungere il fantomatico Orso Bianco, legato però a strani e confusi ricordi...
Questa è stata una delle puntate più terribili, dal punto di vista psicologico. E il motivo è tutto legato al finale, un colpo di scena che ribalta completamente il punto di vista dello spettatore e che lascia un senso di amaro e, di nuovo, quasi disgusto in bocca. Mai come in questo episodio ho sentito più forte il mio ribrezzo e la mia paura per l'umanità come massa.

- San Junipero (3/04)


Premiato ultimo episodio, credo che sia uno dei pochi che, nonostante qualche spunto sempre un po' ambiguo, si concluda positivamente (o comunque non in una maniera tale da farti desiderare di cavarti gli occhi). San Junipero è un paese strano e solo andando avanti con l'episodio si capirà davvero cosa succede in questo posto. Le protagoniste sono due giovani donne che si incontrano per la prima volta qui e, nonostante le grandi differenze tra loro, si innamorano. Non posso dire altro, altrimenti farei spoiler tremendi. 
Episodio privo di quel senso di abbattimento e disgusto che si accompagna alle altre visioni, è una sorta di boccata d'aria fresca. Molto bello, diverso.

Ho portato un solo episodio per stagione, ma me ne sono piaciuti - e molto - vari altri. Ciò che importa è che Black Mirror riesce, anche senza portare avanti un'unica narrazione coerente, a trasmettere con forza alcuni temi che ho trovato importantissimi e attuali.
Il primo - e il più controverso - è quello della tecnologia. Tecnologia che, lo ripeto, è qui futuristica, incredibile, fantascientifica. E, nonostante tutto ciò che si sente dire in giro, io credo che il messaggio di questa serie tv non sia da riferirsi tanto al pericolo di queste tecnologie così avanzate, ma in quello insito nella stessa natura umana. In ogni episodio visto, dove ogni sfumatura di progresso sembrava portare più infelicità e alienazione, mi sono resa conto che a condurre a questi risultati non era la tecnologia in sè ma l'uomo, che trasmette nell'oggetto le sue passioni, solitamente negative. E così in Ricordi pericolosi un supporto sostanzialmente innocuo (un chip che, comandato da un telecomando, permette alle persone di vedere i propri ricordi come un film) diventa lo strumento per un uomo ossessivo e paranoico per portare la propria psicosi a un livello superiore, fino al suo esito disastroso. Oppure in Torna da me diventa un modo per evitare una situazione dolorosa, un palliativo che impedisce alla protagonista di interiorizzare e superare un lutto. Mi è piaciuto dunque questo controverso rapporto tecnologia/uomo, in cui è l'uomo - sempre e comunque - a sfruttare il potenziale dannoso della tecnologia, con un processo che, sebbene in scala minore (ma perchè parliamo di tecnologie molto meno avanzate!) vediamo in atto anche ai giorni nostri. Ma se generalmente ci si scaglia contro la tecnologia in sè, la serie conferma il mio pensiero, ovvero che la responsabilità sia nella persona, che sfrutta in maniera positiva o negativa un potenziale.
Black Mirror affronta ogni faccia di questa nostra nuova realtà e non trascura nè i reality show nè i social network. Nel primo caso, l'episodio più significativo è 15 milioni di celebrità, una sorta di distopia in cui l'unico modo per fuggire a una realtà alienante è guadagnare abbastanza punti e partecipare a un reality show, la classica occasione in cui si dice che solo 1 su 1000 ce la fa. Il finale è, come quasi sempre del resto, molto amaro e ci porta in un mondo fatto di curiosità morbosa e crudeltà. I giudici, cattivi e sempre indifferenti alle persone che hanno davanti, sembrano usciti da uno dei nostri programmi e la freddezza con la quale decidono delle persone e distruggono uno dei momenti culmine dell'episodio è terribile.



Ecco qui la scena in questione (anche se priva del finale, per non spoilerare troppo), un momento di grandissima intensità emotiva appena prima che tutto precipiti e che parla direttamente a noi e alla nostra realtà, una realtà fatta, come dice Bing, di cazzate, di cose che non esistono e di falsità. Ogni cosa è presa, distorta e commercializzata, spettacolarizzata. Un finale tremendo anche in questa puntata, ma perfettamente in linea con l'umanità - purtroppo anche fin troppo veritiera - di Black Mirror.
Come vi dicevo, si parla anche dei social network e l'episodio dove l'argomento viene affrontato nella maniera più diretta è Caduta libera, dove a monopolizzare la vita delle persone è una sorta di Instagram. In questo episodio vediamo come un social network possa impattare in maniera effettiva sulla vita di una persona, delineando una sorta di nuova classe sociale. La ricchezza, dunque, si combina con valutazioni alte (il corrispettivo dei like di facebook) e la protagonista Lacey, novella parvenu, cerca in tutti i modi di diventare parte di quel mondo dorato da lei guardato con invidia da sempre, un mondo dove vivono la crudeltà e la falsità, caratterizzato da repentino successo ma anche da disastrose cadute.  In Odio universale, invece, i social network mostrano invece l'altra faccia, quella che vede il popolo del web unito contro un capro espiatorio sempre diverso, odiato in maniera violenta e irrazionale, un odio insensato ma non per questo meno intenso, che trova nei social, anche oggi, un ottimo modo per esprimersi.
Un altro aspetto che questa serie tv analizza, è l'immedesimazione dello spettatore con il carnefice. Questo è particolarmente evidente in Orso Bianco e in Zitto e balla. Sono due puntate che farei vedere a chi è favorevole alla pena di morte, perchè credo che lasci molta amarezza e molti dubbi. Uno degli effetti, sicuramente, soprattutto del primo episodio, è il ritratto del popolo come massa, che si pone come giudice e giuria, un fenomeno legato a doppio filo con il discorso che facevo prima per i social e a cui possiamo tranquillamente assistere ogni giorno, sul web come nella vita. In un mondo dove sparare giudizi e pareri non richiesti è diventata l'abitudine, Black Mirror ci prende alla sprovvista, ribalta la prospettiva e, in definitiva, ci frega alla grande. Giudica il peccato e non il peccatore, si dice, e anche nei casi più estremi l'umanità emerge potente, come il senso di pietà. O così dovrebbe essere, immagino. Se non vi è capitato, io mi preoccuperei, e lo dico tranquillamente.
Allo stesso modo, assistiamo anche a un processo di deumanizzazione della vittima in Gli uomini e il fuoco, una dura critica a quelle tecnologie che ci portano a mettere una qualunque distanza con altre persone al fine di poterle trattare con crudeltà senza rimorsi.
Questa serie mi è piaciuta davvero molto, anche se mi ha turbata. Non è una serie facile e non dà una lettura felice o positiva del mondo. È crudelmente realistica e non fa sconti a nessuno, non edulcora la realtà a nostro uso e consumo. È uno specchio, a tutti gli effetti. E l'immagine che ci rimanda è quella di un'umanità oscura.

Virginia







lunedì 9 ottobre 2017

Chiacchiericcio#7: Le storie ci cambiano




Buongiorno a tutti e buon lunedì! Oggi torno con una rubrica che doveva essere a cadenza mensile ma che, neanche a dirlo, è caduta nel dimenticatoio dopo poco tempo. Per chi non la conoscesse, è semplicemente quell'articolo che mi prendo per chiacchierare in maniera un po' più intima con voi. Non tornerà tutti i mesi, però mi piacerebbe rispolverarla, una volta ogni tanto.
Oggi parliamo di un argomento che mi è sempre interessato molto. Sono molti i libri belli - o anche bellissimi - che un lettore trova sul suo cammino ma, se ci pensate bene, sono pochi quelli che non si limitano a segnarci ma che impattano su di noi, cambiano il nostro modo di pensare e influenzano la nostra realtà. Certo, quello è molto difficile, ma talvolta accade. Ho deciso di ripercorrere con voi questo mio brevissimo ma importante percorso, che spesso è solo la concretizzazione di un cambiamento avvenuto in mesi o anni e poi consolidato da parole giuste lette al momento giusto.




Non potevo non parlarvi di lui, perchè tutto è partito da qui.
Per il mio ottavo compleanno, mio zio mi regalò Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. Qua ha inizio la mia esperienza da lettrice e, per certi versi, il cambiamento più profondo. HP mi ha portata alla lettura, che è diventato per me il momento più importante della giornata. Non mi ha mai portato altro che gioia questa mia passione e quindi non smetterò mai di parlarvi di quel giorno e di ringraziare J.K. Rowling per avermi introdotta in questa realtà.



A 11 anni vidi il film di Zefirelli tratto dal celebre romanzo Jane Eyre. Pochi giorni dopo, in biblioteca, trovai questa precisa edizione e me la portai a casa. Nonostante io ne abbia acquistate altre due e abbia letto questa storia in altre edizioni ancora, rimango affezionata a questa, perchè è la prima, quella con cui ho conosciuto l'amore, in un certo senso.
Si può dire che Jane Eyre sia stata la mia personale educazione sentimentale. Se, come dice la mia professoressa di letteratura francese, la sua generazione lo ha conosciuto con La principessa di Cleves, io l'ho trovato qui, per la prima volta. Col senno di poi, mi ritengo molto fortunata, perchè il mio esempio è una donna intelligente e umile, modesta ma mai sottomessa, fiera e orgogliosa e pronta a sacrificare perfino la propria felicità per rispettare sè stessa e i propri ideali.
Che dire, poi, del signor Rochester? Non un uomo semplice, non un uomo giovane o bello (non che sia vecchio, certo!). Il signor Rochester è la perfetta controparte per Jane: fiero e orgoglioso, intelligente, mai sottomesso. Certo, in lui troviamo anche una certa arroganza, per non parlare di un carattere chiuso e bizzarro, ma è per questo che l'ho amato e che continua ad essere il mio primo amore e, forse, anche un modello - inarrivabile. Certo non è perfetto, ma con il signor Rochester ho imparato che l'amore è quello che si associa al rispetto dell'altra persona, per l'ammirazione per il suo carattere e la sua intelligenza, prima ancora che per il suo aspetto. Poi, ripeto, non è perfetto: è un manipolatore, un prepotente e un bugiardo, ma Jane non gli si arrende mai ed è questa la differenza con altri libri più moderni.



Avevo 16 anni quando lessi questo libro. In seguito lessi tutto ciò che trovai in biblioteca di Natsuo Kirino, ma questa rimane l'opera che più di tutti mi ha segnata e turbata. Non si lega a un'ideologia specifica come nel caso degli altri libri. La sua influenza fu più sottile e profonda e fu soprattutto un trauma. Si, Grotesque mi colpì come un pugno e lo amai e odiai alla stessa maniera. In tre giorni di frenetica lettura mi immersi per la prima volta nel Giappone crudele di questa autrice, che prendeva tutte le mie debolezze, tutte le mie insicurezze e le esponeva al mondo senza pietà, in tutta la loro meschinità. Non so se, leggendolo adesso, ne sarei stata turbata alla stessa maniera, perchè sono cambiata. Eppure credo che Natsuo Kirino abbia - involontariamente - messo su carta la mia più grande paura e che anche adesso non mi lascerebbe indifferente. Leggere questo romanzo è stato come viaggiare nelle mie più profonde oscurità e paure e nel riemergere mi rimase per giorni un senso di angoscia e turbamento che ricordo ancora.




Se i primi titoli sono tutto meno che nuovi per chi mi segue già da un po', adesso comincio a mostrarvi quei titoli che ho incontrato in tempi più recenti e la cui influenza è stata determinante in altri sensi.
Ho letto Dio di illusioni a 20 anni. Era un momento durissimo: avevo finito le superiori ma rimandato l'università a data da destinarsi, senza sapere bene che fare. Per motivi personali, mi sono ritrovata a fare un corso da OSS. Un'esperienza determinante per me, in positivo come in negativo. Qua si è aperto un periodo cupo che ancora non si è chiuso del tutto, una crisi che mi ha cambiata e non lo dico tanto per dire. In un momento dove mi approcciavo a una realtà lavorativa che prometteva di durare una vita e che mi ingrigiva, spegneva ogni mia creatività, ho letto questo libro. Un capolavoro, per me, sul passaggio dall'adolescenza all'età adulta, una riflessione senza sconti sulla cultura e sulla natura umana. Sembrava che parlasse di me e per me e nelle parole di Donna Tartt ho ritrovato ciò che avevo perso: l'amore per la conoscenza, per lo studio della letteratura e di tutto ciò che definiamo umanistico. Grazie a questo libro mi sono iscritta all'università e ho deciso di provare a darmi un'opportunità.




Si passa qui a tutt'altro argomento - senz'altro più spinoso.
Ho letto A sangue freddo a 21 anni e Capote è andato a cementare ed esplicare una convinzione che da anni era dentro di me ma ancora non avevo ben compreso.
L'argomento della pena di morte è controverso. Tutti, prima o poi, ci troviamo ad arrovellarci intorno a questo quesito: è giusto o no? Il fatto che da noi in Italia non ci sia non ci esenta, a mio parere, dall'interrogarci al riguardo, a maggior ragione alla luce di quanto sta avvenendo nel mondo.
Per tutta la mia adolescenza sono stata a favore della pena di morte. Non sono un carattere pacato, anzi. Mi arrabbio facilmente - anche se magari non lo mostro - e ho quel genere di rabbia impetuosa che brucia con forza sul momento ma che si spegne con altrettanta velocità. Leggendo e vedendo certe cose, è fin troppo facile cedere alla rabbia e a istinti più primitivi.
Eppure.
Crescendo, ho iniziato a mettere in dubbio quella che era stata una mia ferma convinzione. Per mia natura mi metto molto in discussione e in questo caso cominciai a dubitare di ciò che avevo sempre affermato con sicurezza. Il capolavoro di Capote non ha fatto altro che mettere in luce con prepotenza quelli che erano i miei dubbi e le mie incertezze, e lo ha fatto senza voler convincere, limitandosi a esporre con uno stile quasi asettico una vicenda di cronaca nera. Nulla è stato inventato, nulla è certo se non la colpevolezza degli imputati, eppure comunque alla fine del libro avevo un'idea chiara della mia posizione in merito. Che era diametralmente opposta a quella che avrei avuto pochi anni prima.

Questi sono stati i libri che, finora, hanno inciso in maniera oggettiva sulla mia vita e sul mio modo di pensare. Sono pochi, ma se rifletterete vi renderete conto che anche nel vostro caso si possono contare sulla punta delle dita.
Nel prossimo Chiacchiericcio, vi parlerò dei film che hanno influenzato la mia visione. Anche qui saranno pochi ma significativi (ovviamente per me).
Adesso però tocca a voi? Ci sono dei libri che vi hanno cambiato? Se si, quali?

Virginia



giovedì 5 ottobre 2017

Recensione: Jezabel di Irene Nemirovsky

Titolo: Jezabel
Autore: Irene Nemirovsky
Traduttore: Alessandra Maestrini
Casa editrice: Newton Compton
Numero di pagine: 147
Formato: Digitale

La bellissima ma non più giovane ereditiera Gladys Eysenach è chiamata in tribunale per rispondere di omicidio: ha ucciso un ragazzo, suo amante. Ma come ha fatto Gladys a ridursi a quel punto? Perché invoca una condanna severa e qual è la verità che vuole assolutamente tenere nascosta, che la consuma, rendendola simile a Jezabel, l’ombra inquieta dell’Athalie di Racine? Il romanzo ricostruisce la sua avventurosa e tragica vicenda, ci accompagna nel suo passato a Londra, New York, Nizza, Parigi, ci fa rivivere la Belle Époque dei ricchi prima che la seconda guerra mondiale spazzi via tutto per sempre.


"Rimane sempre, in fondo al cuore, il rimpianto di un'ora, di un'estate, di un breve istante in cui si raggiunge probabilmente il momento della fioritura. Per diverse settimane o diversi mesi, raramente di più, una ragazza molto bella non vive la sua esistenza consueta. È come ebbra. Le viene accordata la sensazione di essere fuori del tempo, fuori dalle sue leggi, di non dover sottostare alla monotona successione dei giorni, ma di gustare solamente momenti di felicità cocente e quasi disperata."

Buongiorno a tutti!
Con l'inizio dell'università, il mio blocco del lettore - che durava da qualcosa come 3 mesi - finalmente è stato sconfitto. Nel giro di una settimana ho letto libri, manga, graphic novel e recuperato diversi film. Insomma, mi sento stimolata come non mai e le letture in cui mi imbarco sembrano essere particolarmente fortunate. Compreso questo mio ritorno, a un anno di distanza, a Irene Nemirovsky, autrice nota soprattutto per il suo Suite francese. Io ne ho acquistato il volume Newton Compton che racchiude tutta la sua opera e avevo esordito con il suo primissimo romanzo, Il malinteso, che pur non essendomi dispiaciuto non mi aveva neanche colpita. Era però da tempo che meditavo di darle un'altra possibilità e dopo le entusiaste parole che una mia amica ha speso su Jezabel ho deciso che era giunto il momento.
Ecco, a libro concluso posso definirmi decisamente colpita.
Jezabel è una regina dell'Antico Testamento. Assetata di potere, sacrilega, lussuriosa. A questa figura di donna viene associata Gladys, la protagonista del romanzo che, da quanto ho capito, dovrebbe essere il più feroce e impietoso atto d'accusa della Nemirovsky contro la madre, figura non amata e con la quale era in forte contrasto. In effetti, in questo romanzo la contrapposizione donna/madre è fortissima e l'autrice colpisce con ferocia l'ideologia comune che vede la donna come madre per natura e vocazione. 
Gladys ha un dono e una maledizione: è bellissima. Fin da giovanissima, conosce e assapora uno degli unici poteri concessi a una donna: quello di dominare gli uomini in nome dell'amore e del desiderio. L'amore è un gioco per la splendida Gladys, l'unico gioco che possa attenuare la noia di una classe sociale troppo ricca per occupare il tempo in altra maniera che non sia giocare coi sentimenti altrui. Uomo/donna, donna/donna. I rapporti interpersonali sono scontri all'ultimo sangue mascherati con nomignoli teneri e finta cortesia. Rappresentante di tutta una generazione, quella Belle Epoque che non resiste all'impatto con la guerra, Gladys conduce una vita di raffinatezza e giochi di potere. Finchè non comincia ad invecchiare.

"Che terribile regalo la felicità, una felicità troppo completa, troppo insolente e che finisce, come tutte le cose devono finire...
(...)
In fin dei conti, non c'è che una realtà, che una felicità al mondo, ed è l'essere giovani."

Che accade a una donna che non ha altra gioia al mondo che essere bella e amata nel momento in cui la giovinezza inizia a svanire? La consapevolezza degli anni che passano diventa un'ossessione per Gladys, un segreto da nascondere con ogni mezzo, un altare cui sacrificare qualunque cosa, compresa la figlia, la giovane Marie-Therese, che lei ama ma che ben presto la scalzerà. Non sarà più la bellissima Gladys ma sarà Gladys che ha una figlia in età da marito, la suocera, la nonna... Il pensiero le è insopportabile e l'unico modo che ha per fermare - anche se solo in maniera illusoria - il tempo è rubare, succhiare via come un vampiro, la giovinezza alla figlia. Bloccata in uno stato di eterna bambina, Marie-Therese si ritrova ad interpretare il ruolo della madre per una donna troppo egoisticamente amante di sè stessa per concedere lo spazio di vivere alla figlia. E così sembra che la felicità di Marie-Therese debba sempre cedere il passo a quella di Gladys, che ciecamente ricatta, si arrabbia, prega e, in ultimo, impone alla figlia le sue scelte, la sua volontà, la sua invidia.
In questo libro non c'è spazio per un sano rapporto madre/figlia. Anche in questo caso, le relazioni e gli affetti sono maschere per scontri all'ultimo sangue, dove ognuno per un brandello in più di felicità - o quanto è ritenuto essere felicità - è pronto a sacrificare chiunque. In ultima analisi, diventa lo storico scontro vecchi/giovani.

" << Zitta!... Ci sono parole che non ha il diritto di pronunciare!... Sono mostruose in bocca a lei... contro natura. Lei ha sessant'anni, è vecchia... L'amore, gli amanti, la felicità, non fanno per lei!... Accontentatevi, voi vecchi, di tutto ciò che non possiamo togliervi >>, disse X con rabbia, pensando alla madre di Laure. << Tenetevi il denaro, tenetevi i posti, tenetevi gli onori, ma questo, questo almeno rimaneva a noi! Era la nostra ricchezza, la nostra quota personale!... Con che diritto ve lo prendete? (...) >>"

Ogni nuova generazione lotta per strappare i successi a quella che l'ha preceduta. È la natura, anche se a volte cerchiamo di ricoprirla con una patina di civiltà. Cosa succede, però, quando il vecchio si rifiuta di cedere il passo al nuovo? Quando non si rassegna a passare a una nuova fase della vita, lasciando gli ardori e le passioni ai nuovi arrivati?
Gladys lotta con disperazione contro la vecchiaia, che non è solo un corpo cadente ma anche uno spirito aggrappato a un'altra epoca. Con quanta amarezza, infatti, Gladys si scontra con una nuova realtà, con un nuovo modo di amare. Cambiano gli uomini e le donne e lei non è capace di stare al passo col cambiamento ma comunque si ostina a fingere di essere ciò che non è.
Gladys è un personaggio mostruoso. Nel suo egoismo, nella sua superficialità, nella sua menzogna. Allo stesso tempo, è insopportabilmente reale. Ciò che più colpisce, in lei, è il suo cieco egoismo, che non risparmia nessuno, nemmeno la figlia. Di nuovo, durissima la critica alla figura di donna naturalmente associata a quella della madre da parte della Nemirovsky. Nonostante le apparenze, poi, non è neanche una donna emancipata, perchè ogni cosa che fa, ogni minuto della sua esistenza è vissuto in relazione agli uomini. Come dice lei stessa, l'intelligenza e la cultura non sono che orpelli per rendere più significativo un bel corpo, ma una volta andato via l'uomo, a che servono davvero?
Gladys ha vissuto tutta la vita nel culto narcisistico di sè stessa. Un culto che aveva bisogno di adoratori per reggere e che il tempo, progressivamente, distorce e rende ossessione e malattia.
Questo romanzo, scritto con lo stile raffinato della Nemirovsky, si è rivelato incredibilmente cupo e crudele, nel suo dipingere senza pietà nè sconti una donna, bellissima fuori ma marcia dentro, vuota. La lettura è un morboso viaggio nella psiche sempre più instabile e disturbata di questa moderna Jezabel, un personaggio che si attira poca simpatia e solo un po' di pietà nel suo graduale abbruttimento - più spirituale che fisico. Un libro che non mi aspettavo e che mi ha messo molta voglia di tornare a leggere la Nemirovsky.

Virginia