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mercoledì 1 marzo 2017

CineRecensione#4 Interstellar

Anno: 2014
Pellicola: Colore
Durata: 169 min
Regia: Christopher Nolan

In un futuro imprecisato, un drastico cambiamento climatico ha colpito duramente l'agricoltura. Un gruppo di scienziati appartenenti un tempo alla NASA, sfruttando un "wormhole" per superare le limitazioni fisiche del viaggio spaziale e coprire le immense distanze del viaggio interstellare, organizza una serie di missioni spaziali alla ricerca di un pianeta abitabile. A tal scopo convince Cooper, un ex pilota di talento, a lasciare i propri figli per imbarcarsi in una missione che ha lo scopo di salvare l'umanità.


Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria contro il morire della luce.
Dylan Thomas

Fra una cosa e l'altra, è il primo film di Nolan che recensisco qui sul blog, e l'ultimo suo che ho visto, anche se con qualche anno di ritardo.
Con questa pellicola, Nolan si riconferma assolutamente come uno dei miei registi preferiti: un visionario e una mente contorta a un tempo, che mescola sapientemente effetti speciali e rapporti umani. 
Nella trilogia di Batman (Batman Begins, Il cavaliere oscuro, Il cavaliere oscuro - Il ritorno) si concentra sul protagonista e sulla sua maturazione interiore, percorso che durerà tre film e che, in un qualche modo, dovrà concludere un cerchio prima di poter andare avanti; in Inception è l'elaborazione del lutto il tema portante, insieme al contorto subconscio umano. Qui i temi affrontati sono il rapporto padre/figlia, l'eterna tensione dell'uomo verso l'ignoto e il rapporto ambivalente con la nostra Terra, madre e matrigna.
Ma vediamo tutto un po' più nel dettaglio.
Siamo in un futuro non meglio identificato, America. La Terra è drasticamente cambiata. Una misteriosa "piaga" l'ha colpita: le colture muoiono e frequenti tempeste di sabbia impolverano il mondo, penetrando nei polmoni e rendendo sempre più difficile respirare. In questa situazione di emergenza, ogni tentativo precedente dell'uomo di espandersi nello spazio è stato abbandonato, distorto, dimenticato; dal cielo si è tornati alla terra, che si è inaridita.
In questa realtà vivono Copper, ex pilota, i suoi due figli (Tom e Murphy) e il suocero, Donald; la moglie è morta da tempo. Quando strani fenomeni iniziano ad accadere, Cooper viene coinvolto in una missione disperata e suicida organizzata da ciò che resta della NASA: una spedizione nello spazio nell'estremo tentativo di trovare un nuovo pianeta in cui poter vivere per un'umanità ormai allo stremo.


Quella di Nolan è un'epopea spaziale. Una manciata di coraggiosi rischia il tutto per tutto alla ricerca di una speranza per il mondo. Fin dall'inizio, però, il mistero e i sentimenti si intrecciano al dovere, fino alle estreme conseguenze: il fine giustifica i mezzi?
Cooper è dilaniato fra il proprio dovere di uomo e il suo ruolo di padre. Risucchiato nello spazio profondo, il tempo cambia, si trasforma, e ogni minuto acquista un significato spropositato, perchè l'equivalente sulla Terra è esponenziale. Gli anni passano e il suo rimpianto più grande, il rimorso che sempre lo ferisce e mai lo abbandona è l'aver abbandonato i figli, soprattutto la più piccola, Murph.
Murph è l'altra protagonista del film. L'amore e l'ammirazione che da bambina prova per il padre si vena di rancore con il passare degli anni, quando le notizie non arrivano più e il suo ritorno sembra ormai impossibile. Coinvolta profondamente nei lavori della NASA, è infelice e inquieta. 
Il filo che unisce padre e figlia è la chiave di volta per la comprensione di un film che, nel migliore stile Nolan, si nutre soprattutto dei dettagli e che riesce a mostrare un quadro finale assolutamente sorprendente e inaspettato.
L'altro grande tema del film è la strenua lotta per la sopravvivenza.


Magistralmente espresso dai versi di Dylan Thomas, che torneranno nella scena culminante di tutto il film, il messaggio giunge lo spettatore con grandissima efficacia.
Infuria, infuria.
Non lasciare che la morte ti prenda senza colpo ferire, ma combatti, aggrappati con le unghie al giorno e alla vita. L'istinto di sopravvivenza è uno dei fondamenti della vita, è la risposta spontanea a qualcosa che ci è ignoto ed estraneo. Tutto il film è una celebrazione alla lotta, alla "furia", all'ostinato desiderio di vivere.

"Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango."

L'uomo è tale perchè rifiuta i suoi limiti, la letteratura ce l'ha detto per la prima volta secoli fa. In questo caso, l'istinto di sopravvivenza, ciò che abbiamo di più animalesco in assoluto, prevale sul desiderio di onnipotenza, sulla brama di conoscenza. La terra non è che un "mare di fango", ma noi ci accontentiamo. 
Nolan ci dice però che la grandezza ha sempre un prezzo.



Il film mi è piaciuto moltissimo. Come già ho detto, Nolan mescola il senso del meraviglioso e dell'eccezionale con il tumulto di umanissimi sentimenti. Gli attori sono stati tutti all'altezza della situazione, a mio parere, e il finale è in perfetto stile Nolan: aperto, senza che ogni domanda abbia avuto necessariamente risposta. Perchè la storia - e la vita - non hanno un vero finale ma sono un continuo fluire verso il futuro. A chiudersi sono i "cerchi" dentro di noi: ognuno di noi ha un proprio percorso da seguire, piccoli passi che, un poco per volta, lasciano indietro le antiche ferite e chiudono con il passato, una volta che ci si è scesi a patti. Solo allora siamo pronti per avanzare, altrimenti saremo condannati a percorrere sempre le stesse strade, a provare sempre gli stessi sentimenti e a incontrare sempre le stesse persone, fino a che non ce ne andremo docili nella "buona notte".

Virginia


martedì 8 novembre 2016

Recensione: Uomini e topi di John Steinbeck

Titolo: Uomini e topi
Autore: John Steinbeck
Traduttore: Cesare Pavese
Casa editrice: Bompiani
Numero di pagine: 128
Formato: Cartaceo

Pubblicato nel 1937 negli Stati Uniti, apparso un anno dopo in Italia nella celebre traduzione di Cesare Pavese, Uomini e topi è un piccolo intenso dramma che colloca l'amara vicenda dei suoi protagonisti su uno sfondo di denuncia sociale. II romanzo affronta in chiave simbolica il problema dell'emigrazione contadina all'Ovest, terra di mancate promesse negli anni successivi alla Depressione: è la storia tragica e violenta di due braccianti che trovano lavoro in un ranch della California, il grande Lennie, gigante buono e irresponsabile, e il saggio George, guida e sostegno dell'amico nella vana resistenza alla difesa del mondo. Sfruttamento e lotte sociali, ingiustizia e sofferenza umana, tutti temi che verranno trattati con realismo aspro e risentito in Furore, sono qui espressi con una vena di lirica commozione e con quel vigore narrativo che fa di Steinbeck uno dei grandi autori americani.
Da questo romanzo l'omonimo film interpretato da John Malkovich e Gary Sinise e diretto da Gary Sinise.


Carissimi lettori sperduti, un'altra settimana è iniziata ed io la inauguro con la recensione di un libro letto qualche settimana fa. Purtroppo quella di oggi non credo sarà la mia recensione più brillante: sono stanca, il libro non è più freschissimo nella mia memoria e non ho con me la mia copia, per poterla sfogliare e condividere con voi qualche citazione che mi aveva colpita. Pazienza, faremo senzaxD
Steinbeck è un autore che amo molto, pur avendo letto poco. La verità è che Furore e La valle dell'Eden sono, a mio parere, due capolavori della letteratura e mi dispiace che questo scrittore venga svalutato dall'ambiente letterario, reso, agli occhi dei cosiddetti "letterati" meno valido perchè si rivolgeva alle masse e non coltivava una visione di letteratura elitaria.
Ma questa è un'altra storia, magari approfondita in un Chiacchiericcio.
Uomini e topi è un romanzo breve particolarmente famoso, anche se io ammetto di non averne mai visto il film. Nonostante ciò, già sapevo parzialmente a cosa andavo incontro, perchè in poco più di 100 pagine gli avvenimenti sono limitati. 
Inizio con una precisione. Non ho amato Uomini e topi come i precedenti romanzi e un po' mi è dispiaciuto. Poi, pensandoci, mi sono resa conto che è ingiusto paragonare questo librino con romanzi talmente poderosi e che per una tale brevità è comunque un libro che colpisce.
Fin dall'inizio, persino nella prima, idilliaca parte, incombe su tutta la storia un'aura di tragedia. Fin dall'inizio percepiamo che qualcosa andrà male, orribilmente male, che non può esserci lieto fine per protagonisti così. Steinbeck gioca subito a carte scoperte e delinea un'ambientazione chiusa, claustrofobica. L'azione è concentrata in poche stanze e tutto il racconto è scandito in diverse parti, simili agli atti teatrali. In questo poco spazio, Steinbeck mette in scena una tragedia che è anche pesante critica sociale. I protagonisti di questa storia sono dei sognatori e dei perdenti, destinati a essere topi per sempre, discriminati dalla società: un ritardato, un vecchio mutilato, un nero disabile. Di questo improbabile gruppetto che si costituisce in queste poche pagine diventa protettore George, stanco e amareggiato e, infine, rassegnato. 
Ancora una volta Steinbeck ci racconta di lavoratori, di terra dura sulla quale spaccarsi le ossa, di un mondo fatto solo per gli uomini, solo per i bianchi, solo per i forti. Non c'è spazio per gli "scarti", come dimostra il triste epilogo di un racconto che colpisce dritto allo stomaco. Mentre leggevo, lo ammetto, avevo paura, non volevo andare avanti. Eppure ero incatenata alle pagine, avvinta dall'incanto che solo Steinbeck riesce a creare, e mi sono ritrovata a sognare anch'io di una fattoria, un pezzo di terra, dei conigli; del calore dell'amicizia che scaccia la solitudine; del Bene che vince sul male. Ma nessun finale felice attende il lettore e i protagonisti, solo una mazzata in pancia.

Virginia