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giovedì 25 maggio 2017

Recensione: L'armata dei sonnambuli di Wu Ming

Titolo: L'armata dei sonnambuli
Autore: Wu Ming
Casa editrice: Einaudi
Numero di pagine: 808
Formato: Cartaceo
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1794. Parigi ha solo notti senza luna. Marat, Robespierre e Saint-Just sono morti, ma c'è chi giura di averli visti all'ospedale di Bicêtre. Un uomo in maschera si aggira sui tetti: è l'Ammazzaincredibili, eroe dei quartieri popolari, difensore della plebe rivoluzionaria, ieri temuta e oggi umiliata, schiacciata da un nuovo potere. Dicono che sia un italiano. Orde di uomini bizzarri riempiono le strade, scritte enigmatiche compaiono sui muri e una forza invisibile condiziona i destini, in città e nei remoti boschi dell'Alvernia. Qualcuno la chiama "fluido", qualcun altro Volontà. Guarda, figliolo: un giorno tutta questa controrivoluzione sarà tua. Ma è meglio cominciare dall'inizio. Anzi: dal giorno in cui Luigi Capeto incontrò Madama Ghigliottina.

L'estate scorsa ho scoperto i Wu Ming (noti all'esordio come Luther Blisset) grazie al romanzo Q (qui la recensione). E anche se poi non ve ne ho più parlato, in realtà ho letto anche Manituana, che mi ha delusa. Certa però che i Wu Ming avessero molto altro da dirmi, ho deciso di lasciarmi tentare dalle offerte dell'Einaudi di qualche mese fa e mi sono portata a casa L'armata dei sonnambuli, al quale facevo la corte da tempo.
Dunque passiamo dall'Europa delle guerre religiose e della riforma luterana (Q), all'incontro/scontro tra due culture, quella dell'America coloniale e delle potenze europee (Manituana) al Terrore della Rivoluzione Francese, alla decapitazione del re, alla primo segno di crollo di una società monarchica e schiavista.
Ma è davvero così?
Se c'è una cosa che ho capito leggendo questi libri dei Wu Ming è che con magistrale bravura (amo il loro modo di scrivere) ci mostrano come certe dinamiche siano sempre le stesse. I nomi possono cambiare, così come le intenzioni dichiarate, ma oltre tutti i sotterfugi c'è sempre la brama di potere. Potere che è tale solo nel momento in cui il mondo è diviso tra schiavi e padroni. Questo è l'ordine naturale delle cose, la situazione accettata da tutti e considerata come irremovibile e voluta da Dio. Questo finchè nel 1789 in Francia non abbiamo una Rivoluzione che segnerà la storia dell'umanità. Una Rivoluzione partita dal basso, dal popolo, e raccolta da esponenti politici quali Robespierre, Marat e via dicendo.
I Wu Ming, però, tralasciano questo pezzo e portano il lettore nel momento culminante del processo: il momento in cui re Luigi incontra Madama Ghigliottina e la sua regale testa ruzzola in terra, sancendo così di fatto la fine di un'era.


Nel contesto storico più noto a tutti, i Wu Ming incastonano le vicende di personaggi dall'appartenenza più ambigua, meno netta (un po' reali, un po' romanzati): Marie Noziere, sartina del foborgo di Sant'Antonio; Orphee D'Amblanc, un dottore che aderisce alla filosofia mesmerista; Lèo Modonnet, attore bolognese naturalizzato francese; e Laplace, il misterioso inquilino del manicomio di Bicetre che sa più di quel che dice e che tesse una tela terribile, pronto a scattare sulla sua preda nel momento in cui essa meno se lo aspetta.
La vicenda narrata è quella dei poveracci, di chi cerca il proprio posto in un mondo che è del tutto allo sbando (ma quando mai non lo è stato?), di chi è sconfitto. Perchè lo sono, tutti loro. Così come lo è il popolo francese nel suo slancio rivoluzionario, nel suo sogno di uguaglianza. Sconfitta dai suoi stessi creatori, la Rivoluzione si trasforma presto in Terrore e perfino Madama Ghigliottina, attrice principale su questo palcoscenico d'eccezione, da portatrice di giustizia diventa solo una belva sanguinaria.
Lo stile è impeccabile. Se in Q venivano utilizzati numerosissimi scarti temporali, costringendo il lettore a concentrarsi il più possibile per seguire bene la vicenda, qua abbiamo l'uso di molteplici registi, fino ai dialetti italiani usati per rendere le realtà più provinciali (e comunque, ogni volta che Lèo parlava in bolognese io mi sentivo un po' a casa*-*). La scrittura è scorrevole, i paragrafi brevi e il ritmo rapido. Ancora una volta, constatiamo con meraviglia che a una mole imponente e a un contenuto importante non si affianca sempre una prosa pesante. Ripeto, amo lo stile dei Wu Ming.
Quella che però mi colpisce sempre è la dimensione ideologica dei loro romanzi. I Wu Ming non ci presentano una realtà edulcorata. Scelgono sempre momenti cruciali per la storia dell'umanità e ci narrano vicende umane che si intrecciano alla Storia, ma ciò che davvero attira l'attenzione del lettore è vedere - lo ripeto - come le dinamiche siano sempre le stesse. Il nostro è un mondo in cui per sopravvivere ci si divora l'un l'altro. E a nulla valgono i tentativi di portare un po' di luce, perchè ognuno di noi pensa al proprio interesse e nessuno vuole scendere a compromessi. E così cade anche il sogno della Rivoluzione, della Repubblica, del popolo sovrano: il potere di tutti che è, ancora una volta, il potere di pochi. Il potente che schiaccia il debole, in un circolo eterno che vede di volta in volta cambiare le figure al potere e le ideologie che propugnano.
E neanche il popolo, a mio parere, ci fa una bella figura. Il popolo visto come massa, preso nella sua interezza. Perfino Marie, che è "una di loro" capisce che, se lasciata senza freni, la massa popolare diventerebbe ingestibile, irrefrenabile. Quindi necessitiamo di leggi. Ma come impedire che le leggi diventino la scusa dietro alla quale nascondere un sopruso? Chi decide le leggi, storicamente, decide dello Stato.
Non voglio dilungarmi. Perchè è un argomento che sento molto vicino - e angosciante - e che mi confonde. Perchè non è di questo che voglio parlare sul mio blog, non ho competenze ne risposte da darvi, solo domande, che mi riempiono il cervello e incrinano la mia  serenità.
Leggere un libro dei Wu Ming mi fa sempre questo effetto. Sento le meningi che girano e un po' di sconforto che sale. Nonostante questo, sono felicissima di averli scoperti e conto di leggere altro di loro in futuro, nella speranza che possa piacermi altrettanto
E, per concludere con una botta di gioia, condivido qui il video di una delle canzoni del musical I miserabili, basato sul meraviglioso romanzo di Hugo che ci parla proprio di rivoluzione e sogni infranti.
*Me va nell'angolino a piangere.


Virginia

venerdì 24 giugno 2016

Recensione: Q di Luther Blisset

Titolo: Q
Autore: Luther Blisset
Casa editrice: Einaudi
Numero di pagine: 692
Formato: Cartaceo
Anno Domini 1555. Sopravvissuto a quarant'anni di lotte che hanno sconvolto l'Europa, un eretico dai mille nomi racconta la sua storia e quella del suo nemico, Q. Predicatori, mercenari, banchieri, stampatori di libri proibiti, principi e papi compongono l'affresco dei tumultuosi anni delle guerre di religione: dalla Germania di Lutero, al regno anabattista di Münster, all'Italia insidiata dall'Inquisizione. "Q" è l'esordio narrativo del rivoluzionario collettivo ora noto come Wu Ming.

L'ultimo articolo risale a un po' di tempo fa e me ne dispiace. Il motivo fondamentale è che adesso vi sto scrivendo dall'Inghilterra. Starò qui un mese (di cui sono già passate ormai quasi 2 settimane) per studiare l'inglese e, fra il college e la mia famiglia ospitante, l'idea di aggiornare il blog era quasi allucinante. Ora che il peggio è passato, torno con la recensione di un libro letto da me ormai un po' di tempo fa e di cui tengo a dirvi la mia opinione.
Q è un libro particolare. Ammetto che, prima di iniziarlo, mi faceva anche un po' paura. Si presenta come un libro dalle discrete dimensioni, che in mano decisamente si fa sentire; un libro impegnato, scritto dal collettivo Wu Ming (alle origini Luther Blisset), cinque autori che avrebbero scritto un capitolo a testa. Non dico altro sugli autori, preferisco concentrarmi sul romanzo, cercando di essere il più sintetica ed efficace possibile (sto scherzando).
Con cosa iniziare, per parlare di Q? Sicuramente con un incoraggiamento. Questo librone fila che è una meraviglia, la storia scorre senza intoppi e mi ha letteralmente incollata alle pagine. Mi sono dovuta ricredere: mi aspettavo un libro pesante e di difficile lettura e invece ho trovato un romanzo profondo e appassionante a un tempo. Sicuramente ha aiutato qualche trucchetto narrativo. La struttura della narrazione, infatti, è estremamente articolata e ha il pregio, se si riesce a raccapezzarsi nei primi capitoli, di rendere la storia molto scorrevole. I nostri narratori ricorrono infatti a continui balzi temporali: dal passato al futuro e viceversa, fino a far fumare le meningi. A questa tecnica - piuttosto intrigante, devo ammetterlo - si uniscono i capitoli, brevi e densi. Credo che sia impossibile annoiarsi con capitoli lunghi, in media, una facciata e mezzo. In sostanza, ho trovato assolutamente vincente questo modo di raccontare la storia.
Ma di cosa parla Q? Abbiamo davanti un romanzo storico, che ci racconta di quel sanguinoso periodo che segnò l'inizio della fine dell'egemonia Cattolica in Occidente. Tutto ha inizio con Lutero e con le sue Tesi contro le Indulgenze, e termina... Quando termina? Si può dire che sia mai terminata, questa storia? Questo racconto di giustizia e ingiustizia, di sangue e sesso, di libertà e schiavitù. Ancora oggi è attuale, anche se magari sono cambiati i nomi. Chi vi si cela dietro, però, è sempre lo stesso nemico: chi lotta per il potere e chi per la libertà. Allo stesso modo, vediamo come i nomi e le identità cambino continuamente, a dimostrazione che non è un nome a decidere chi siamo.
I Wu Ming narrano una storia di sangue. Il protagonista dai mille nomi attraversa uno dei ventenni più sanguinosi della storia alla ricerca di un senso - senso che crede di trovare nella religione - e trova l'amicizia, l'amore, la perdita, l'inganno. L'unica costante di una vita allo sbando saranno la ricerca e il cambiamento, che sembrano volgere sempre alla sconfitta. Finché l'unico senso a una vita di morte diventa arrivare al Traditore, a colui che ogni volta ha ingannato e tradito, Q. 
Come ho già detto, il libro tiene incollati alle pagine e scorre benissimo. L'unica cosa che mi sento di sottolineare, è una distanza di ideologia. Più sono andata avanti nella lettura, infatti, più mi sono convinta che il messaggio di questa storia sia la battaglia: combatti per ciò in cui credi e per la libertà. Fin troppo spesso, però, una battaglia portata avanti con le giuste motivazioni è poi diventata solo un gioco al massacro, una vendetta. Allargando il discorso, credo che nella Storia tutta non sia mai accaduto che una battaglia, anche se fondata su giusti sentimenti, portasse ad altro che miseria, squallore e disperazione. Un esempio è la Rivoluzione Francese: celebrata come la vittoria sull'oscurità e la fine dello strapotere dei ricchi, non ha portato ad altro che a una nuova forma di crudeltà e a nuovi dittatori. La Storia è piena di esempi simili ed io non sono un'esperta. Penso però che sia chiaro ciò che intendo e, leggendo, non ho potuto non fare, dentro di me, un'inquietante accostamento tra gli eretici dei Wu Ming e l'Isis dei tempi nostri. In generale, non si può imporre un'ideologia con la forza e il terrore e l'ignoranza si combatte solo con la conoscenza. 
Questo libro mi è piaciuto moltissimo e mi ha lasciato con molte riflessioni, come potete vedere. Concludo con una citazione:
Non voltarti indietro, non rimanere prigioniero della tua storia. Prendi il mare, recidi le cime che ti inchiodano a terra, tieni la mente a prua e salpa. Salpiamo. Un mondo finisce, un altro comincia, è questa l'Apocalisse e noi ci siamo in mezzo. Aiutami ad armare il battello che sfiderà la tempesta.