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martedì 8 novembre 2016

Recensione: Uomini e topi di John Steinbeck

Titolo: Uomini e topi
Autore: John Steinbeck
Traduttore: Cesare Pavese
Casa editrice: Bompiani
Numero di pagine: 128
Formato: Cartaceo

Pubblicato nel 1937 negli Stati Uniti, apparso un anno dopo in Italia nella celebre traduzione di Cesare Pavese, Uomini e topi è un piccolo intenso dramma che colloca l'amara vicenda dei suoi protagonisti su uno sfondo di denuncia sociale. II romanzo affronta in chiave simbolica il problema dell'emigrazione contadina all'Ovest, terra di mancate promesse negli anni successivi alla Depressione: è la storia tragica e violenta di due braccianti che trovano lavoro in un ranch della California, il grande Lennie, gigante buono e irresponsabile, e il saggio George, guida e sostegno dell'amico nella vana resistenza alla difesa del mondo. Sfruttamento e lotte sociali, ingiustizia e sofferenza umana, tutti temi che verranno trattati con realismo aspro e risentito in Furore, sono qui espressi con una vena di lirica commozione e con quel vigore narrativo che fa di Steinbeck uno dei grandi autori americani.
Da questo romanzo l'omonimo film interpretato da John Malkovich e Gary Sinise e diretto da Gary Sinise.


Carissimi lettori sperduti, un'altra settimana è iniziata ed io la inauguro con la recensione di un libro letto qualche settimana fa. Purtroppo quella di oggi non credo sarà la mia recensione più brillante: sono stanca, il libro non è più freschissimo nella mia memoria e non ho con me la mia copia, per poterla sfogliare e condividere con voi qualche citazione che mi aveva colpita. Pazienza, faremo senzaxD
Steinbeck è un autore che amo molto, pur avendo letto poco. La verità è che Furore e La valle dell'Eden sono, a mio parere, due capolavori della letteratura e mi dispiace che questo scrittore venga svalutato dall'ambiente letterario, reso, agli occhi dei cosiddetti "letterati" meno valido perchè si rivolgeva alle masse e non coltivava una visione di letteratura elitaria.
Ma questa è un'altra storia, magari approfondita in un Chiacchiericcio.
Uomini e topi è un romanzo breve particolarmente famoso, anche se io ammetto di non averne mai visto il film. Nonostante ciò, già sapevo parzialmente a cosa andavo incontro, perchè in poco più di 100 pagine gli avvenimenti sono limitati. 
Inizio con una precisione. Non ho amato Uomini e topi come i precedenti romanzi e un po' mi è dispiaciuto. Poi, pensandoci, mi sono resa conto che è ingiusto paragonare questo librino con romanzi talmente poderosi e che per una tale brevità è comunque un libro che colpisce.
Fin dall'inizio, persino nella prima, idilliaca parte, incombe su tutta la storia un'aura di tragedia. Fin dall'inizio percepiamo che qualcosa andrà male, orribilmente male, che non può esserci lieto fine per protagonisti così. Steinbeck gioca subito a carte scoperte e delinea un'ambientazione chiusa, claustrofobica. L'azione è concentrata in poche stanze e tutto il racconto è scandito in diverse parti, simili agli atti teatrali. In questo poco spazio, Steinbeck mette in scena una tragedia che è anche pesante critica sociale. I protagonisti di questa storia sono dei sognatori e dei perdenti, destinati a essere topi per sempre, discriminati dalla società: un ritardato, un vecchio mutilato, un nero disabile. Di questo improbabile gruppetto che si costituisce in queste poche pagine diventa protettore George, stanco e amareggiato e, infine, rassegnato. 
Ancora una volta Steinbeck ci racconta di lavoratori, di terra dura sulla quale spaccarsi le ossa, di un mondo fatto solo per gli uomini, solo per i bianchi, solo per i forti. Non c'è spazio per gli "scarti", come dimostra il triste epilogo di un racconto che colpisce dritto allo stomaco. Mentre leggevo, lo ammetto, avevo paura, non volevo andare avanti. Eppure ero incatenata alle pagine, avvinta dall'incanto che solo Steinbeck riesce a creare, e mi sono ritrovata a sognare anch'io di una fattoria, un pezzo di terra, dei conigli; del calore dell'amicizia che scaccia la solitudine; del Bene che vince sul male. Ma nessun finale felice attende il lettore e i protagonisti, solo una mazzata in pancia.

Virginia

sabato 17 settembre 2016

Book Haul di compleanno



Carissimi lettori del blog, dovete sapere che uno dei post (o dei video) che amo di più ha per oggetto i Book Haul. Si, lo confesso, provo un sottile piacere misto a dolore (50 sfumature mi fa un baffo) nel contemplare tutti i vostri acquisti e nel veder aumentare vertiginosamente la mia wl senza muovermi da casa.
Questa volta, però, il Book Haul è il MIO.
Ebbene si. Dovete sapere che l'8 settembre cade il mio compleanno e, da non so quanti anni a questa parte, ho finalmente ricevuto LIBRI. Fra l'altro, sottolineo che sono stati pilotati, perchè ho fornito io la lista da cui scegliere per essere almeno un briciolo sorpresa, ma dettagli. Quel che conta è che ho cominciato a livellare (illusa!) la mia wl, ricevendo in dono dei libri meravigliosi, bellissimi e bla, bla, bla.
Ma iniziamo subito, perchè non sto nella pelle dall'idea di condividere con voi le new entry della mia libreria!

Non poteva assolutamente mancare l'ultima pubblicazione Collins targata Fazi Editore. Dovete sapere che ho scoperto di amare follemente Wilkie Collins e i suoi romanzi mattone di mistero, amore, intrighi, tradimenti e indagini poliziesche. Si, è un mio guilty pleasure, e la Fazi non mi aiuta sicuramente, con queste cover bellissime ed eleganti. Lo ammetto: preferisco spendere di più e accaparrarmi l'edizione Fazi che non risparmiare e comprare la Newton Compton.
Sorry not sorryxD

La pietra di Luna, prezioso e antico diamante giallo originario dell’India, dopo una serie di avventurose vicissitudini sopportate nel corso dei secoli, giunge in Inghilterra e viene donata a una giovane nobildonna di nome Rachel Verinder nel giorno del suo diciottesimo compleanno. Il gioiello, di valore inestimabile, scompare in circostanze misteriose quella notte stessa e un famoso investigatore, il sergente Cuff, viene incaricato di ritrovarlo. L’indagine, per quanto accurata, non porta ad alcun risultato e causa, anzi, sgomento e confusione sia tra i membri della famiglia Verinder che nella servitù. Il romanzo, in cui tutti i personaggi sono apparentemente innocenti ma allo stesso tempo possibili colpevoli, si sviluppa seguendo le sorti della pietra di Luna, in un groviglio di eventi drammatici raccontati, di volta in volta, dai diversi protagonisti.
A fare da sfondo a questo giallo così magistralmente costruito c’è una romantica storia d’amore che, insieme alla suspense e alla curiosità, tiene il lettore avidamente inchiodato al libro dalla prima all’ultima pagina. Unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi capolavori di Wilkie Collins, La pietra di Luna, alla sua uscita nel 1868, consacrò il clamoroso successo dell’autore e riuscì addirittura a destare l’invidia di Charles Dickens, suo grande amico e maestro.
«Probabilmente il miglior romanzo poliziesco mai scritto».
G.K. Chesterton
«Il primo e il più grande romanzo poliziesco inglese, un genere scoperto da Collins, non da Poe».
T.S. Eliot
«Un testo esemplare. Un romanzo ragguardevole, avvincente, opportunamente fluviale e, insieme, un libro-simbolo del noir».
«Panorama»
«L’impero, la grande tradizione letteraria, l’immobilità sociale, l’ironia e il patetico, l’ordine e la trasgressione. C’è molta Inghilterra vittoriana in questo poliziesco. Il pubblico, e Dickens, lo capirono».
«Il Sole 24 Ore»


Dovete sapere che quest'inverno mi sono follemente innamorata di John Steinbeck. Di suo ho letto, per ora, solo Furore e La valle dell'Eden (uno più bello dell'altro, capolavori assoluti), ma poi mi sono fermata. Ho dunque inserito in lista un altro suo romanzo (racconto lungo, più che altro) estremamente famoso, che mi incuriosisce da tempo. Spero che sia all'altezza degli altri due, ma sarebbe ingiusto paragonare un racconto di poco più di 100 pagine con due mattoni di 600 e passa.

Pensato per un pubblico - i braccianti della California - che non sapeva né leggere né scrivere, "Uomini e topi" (1937) è un breve romanzo, ricco di dialoghi, che, nelle intenzioni di Steinbeck, avrebbe dovuto essere in seguito adattato, come difatti avvenne, per il teatro e per il cinema. Protagonisti, due lavoratori stagionali, George Milton, e l'inseparabile Lennie Little, un gigante con il cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli uomini sospingono verso una fine straziante. Il ritratto di un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella drammatica rappresentazione di un maestro.




Dopo La Storia, non potevo certo fermarmi con Elsa Morante:) Ero un po' indecisa se chiedere questo o Menzogna e sortilegio, ma dopo la bellissima recensione di Athenae Noctua de L'isola di Arturo ho deciso che il prossimo titolo doveva essere questo:)

Il romanzo è un'esplorazione attenta della prima realtà verso le sorgenti non inquinate della vita. L'isola nativa rappresenta una felice reclusione originaria e, insieme, la tentazione delle terre ignote. L'isola, dunque, è il punto di una scelta e a tale scelta finale, attraverso le varie prove necessarie, si prepara qui, nella sua isola, l'eroe ragazzo-Arturo. È una scelta rischiosa perché non si dà uscita dall'isola senza la traversata del mare materno; come dire il passaggio dalla preistoria infantile verso la storia e la coscienza.


Questo libro ha una storia strana. Lo avevo adocchiato in libreria più di un anno fa, però costava troppo. Un giorno decisi di comprarlo: all'uscita dal corso lo avrei preso. Quel pomeriggio, però, uscii con un'amica e con quei soldi mi comprai un vestito.
A dimostrazione che un vestito si dimentica ma un libro è per sempre, il vestito lo indossai una volta e il libro non comprato mi rimase sul gozzo, fino ad ora. Sono impaziente di leggerlo e spero proprio che sia all'altezza delle mie aspettative (fra l'altro, è il mio primo Iperborea*-*).

Ci sono libri che danno pura gioia, facendo vibrare dentro di noi tutte le corde del nostro amore per la lettura: il racconto trascinante unito a temi che ci toccano nel profondo, la suspense e l’avventura e un sottile gioco letterario che stimola la nostra complicità, una documentata ricostruzione storica e il fascino di personaggi più grandi del reale, nati già immortali. È quel che capita con il romanzo di Björn Larsson: ci ritroviamo adulti a leggere una storia di pirati con lo stesso gusto dell’infanzia, riscoprendo quella capacità di sognare che ci davano i porti affollati di vascelli, le taverne fumose, i tesori, gli arrembaggi, le tempeste improvvise e le insidie delle bonacce, come anche il semplice incanto del mare e la sfida libertaria di ribelli contro il cinismo dei potenti. In più con la sorpresa di vederci restituito, in tutta la sua ambigua attrazione e vitalità, uno dei personaggi che davano a quell’infanzia l’emozione della paura: chi racconta in prima persona è Long John Silver, il temibile pirata con una gamba sola dell’Isola del Tesoro, fatto sparire da Stevenson nel nulla per riapparirci ora vivo e ricco nel 1742 in Madagascar, intento a scrivere le sue memorie. E non è solo a quell’“e poi?” che ci veniva sempre da chiedere alla fine delle storie che risponde Larsson, è al prima, al durante, al dietro: com’era il mondo all’epoca della pirateria, i legami con il commercio ufficiale, la tratta degli schiavi, il contrabbando, le atroci condizioni dei marinai, i soprusi dei capitani, il codice egualitario dei pirati, le loro efferatezze e quelle contro cui si ribellavano, le motivazioni e le ingenuità dei grandi “gentiluomini di ventura”. Ma è a un personaggio letterario che è affidato il compito di rivelare la “verità”, un personaggio cosciente di esistere solo nelle parole, che dialoga in un pub di Londra con Defoe fornendogli notizie per la sua storia della pirateria, che risponde a Jim Hawkins dopo aver letto L’Isola del Tesoro, e che, in quel continuo gioco di rimandi, indaga sul rapporto tra realtà e invenzione, sete di vivere e bisogno di immortalità, solitudine e libertà, con la consapevolezza che non esiste altra vera vita di quella che raccontiamo a noi stessi.




E infine, il meglio (per modo di dire, perchè io li amo tutti, tutti*-*). 
Ho letto questa trilogia quest'inverno e l'ho amata. Profondamente, visceralmente, intensamente. L'ho amata così tanto che, quando l'ho chiusa, ho sentito un vuoto, così tanto che la didascalia del blog (My spirit is forever free) viene da qui, così tanto che ho rotto le balle a mia sorella finchè non l'ha letta, nonostante sia in inglese. 
Insomma, ho amato questi libri. Tantissimo. 
Mia sorella mi ha fatto una sorpresa e mi ha regalato il cartaceo dell'intera trilogia.
Non potete capire cosa questo significhi per me. Io amo questi libri, li farei leggere a tutti, e amo questa scrittrice. Avere la trilogia in cartaceo è meraviglioso e sto ancora fangirlando.

Its name is spoken only in whispers, if the people of Alban dare to speak it at all: Shadowfell. The training ground for rebels seeking to free their land from the rule of the tyrannical king is so shrouded in mystery that most believe it to be a myth.
But for Neryn, Shadowfell’s existence is her only hope. She is alone and penniless, a fugitive concealing a magical power that will warrant her immediate enslavement should it be revealed. She finds hope of allies in the Good Folk, fey beings who taunt her with chatter of prophecies and tests; and in a mysterious stranger who saves her from certain death but whose motives remain unclear.
Will Neryn be forced to make the dangerous journey alone? She must reach Shadowfell, not only to avenge her family and salvage her own life, but to rescue Alban itself.

Questi sono i libri, anche se manca il regalo dei miei nonni. Ma per quello, quando lo avrò, vi piazzerò una bella foto su InstagramxD
Bene bene, questo per ora è tutto! Ci risentiamo:-*

Virginia