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Titolo: Il grande Gatsby Autore: Francis Scott Fitzgerald Traduttore: Bruno Armando Casa editrice: Newton Compton Numero di pagine: 192 Formato: Cartaceo |
• Al di qua del Paradiso
• Belli e dannati
• Il grande Gatsby
• Tenera è la notte
• Racconti dell’età del jazz
Introduzione di Walter Mauro
Premesse di Massimo Bacigalupo, Giancarlo Buzzi e Walter Mauro
Edizioni integrali
Nessuno come Scott Fitzgerald è riuscito a rendere l’atmosfera, i personaggi e lo stile di vita di quella particolare epoca della storia americana nota come “l’età del jazz” e a raccontare le vicende dei suoi giovani protagonisti. È la generazione degli “anni ruggenti”, vissuta con e tra due guerre, viziati rampolli di famiglie ricche persuasi che ormai tutti gli dèi siano caduti, che ogni morale e codice comportamentale siano ipocriti e desueti. Vogliono trovare altri valori, nuovi modelli. Ma è una ricerca disordinata, che spesso si perde nel caos della «giostra dell’illusorio», nell’autolesionismo dell’alcool e della droga, nella follia. Alla fine della loro corsa sfrenata troveranno amarissime delusioni, così come l’America del benessere e dell’euforico inseguimento del “sogno americano” precipiterà nell’abisso della grande crisi del 1929. Allora niente più lustrini e stravaganze, amori folli, atteggiamenti provocatori e disinibiti, solo la ricerca di un po’ di sicurezza nella bufera. La meravigliosa villa bianca di Gatsby, dove tutto è perfetto, dove è perfino possibile trovare e ritrovare l’amore vero (la felicità?), è solo una facciata. È un inganno? Può darsi che lo sia, come sono un inganno le favole. O forse sono bellissimi sogni, in cui si dimenticano dolori, miserie, solitudini, malattie, volgarità. Tutto è sospeso, fino al risveglio.
Il grande Gatsby è uno dei classici più amati di tutti i tempi. Oggetto di numerose rappresentazioni cinematografiche e culto di molti lettori, io mi ci sono avvicinata quasi di nascosto, e per vie traverse.
Quando ho letto il meraviglioso Leggere Lolita a Teheran (qui la recensione), mi sono sentita come se avessi già letto il romanzo di Fitzgerald. I temi e la trama erano trattati approfonditamente e questo da un lato mi ha ulteriormente avvicinata al romanzo, dall'altro mi ha un po' costretta dentro considerazioni non mie nel momento in cui l'ho effettivamente letto.
Mi spiego.
Quella della Nafisi è un'analisi molto profonda ed accurata del romanzo. Nel momento in cui mi sono ritrovata a leggerlo io, non posso negare che questa mia precedente familiarità con le tematiche mi abbia un po' influenzata, impedendomi di farmene un'idea del tutto personale. Ma questi sono dettagli, in fondo.
"Un vuoto improvviso sembrava emanare dalle finestre e dalle grandi porte, avvolgendo in un isolamento totale la figura del padrone di casa, che se ne stava sotto il portico, con le mani alzate in un formale gesto d'addio."
Sebbene questa non sia la primissima immagine che abbiamo di Jay Gatsby, credo che sia comunque quella che lo descrive al meglio. Alla fine di una delle sue magnifiche, favolose feste, quando tutti gli invitati se ne vanno incerti sulle gambe e sazi, momentaneamente, di divertimenti e frivolezze; lui che li saluta, un po' teatrale, ma sempre solo e sempre lontano da tutti, come la luna fra le stelle: circondata ma sempre a sè stante, diversa e accentratrice.
Di generazione in generazione i lettori, come Carraway - il narratore - prima di loro, sono stati catturati e ammaliati da questa figura e con lui partecipano della grandezza e della rovinosa caduta.
Nella migliore delle tradizioni letterarie, Il grande Gatsby ci offre diversi spunti di lettura. Da una parte abbiamo l'epopea di un uomo che rimane un sognatore nello squallore della realtà, dall'altra abbiamo il ritratto di una società frivola e sfrenata, spietata e sempre un po' annoiata, che sembra fagocitare tutto ciò che ha attorno e poi dimenticarsene, una volta svanito il sapore.
"Era gente sbadata, Tom e Daisy - rompevano cose e persone e poi si ritiravano nei loro soldi e nella loro enorme noncuranza o qualunque cosa fosse che li teneva insieme, e lasciavano che fossero gli altri a pulire lo sporco che lasciavano..."
Come potrebbe un uomo indifeso come Gatsby riuscire ad eguagliare una simile indifferenza? Nonostante tutti i suoi tentativi di integrarsi in questo mondo dorato di lupi rimane un agnellino.
Eppure il lettore lo ama per questo, perchè vede Gatsby e la sua falsa e indifferenza ma sotto vede anche il provincialotto che ha lottato contro il proprio destino pur di elevarsi e di essere qualcosa di più.
Quello di Fitzgerald, però, non è un libro per chi ami il lieto fine. Solo lo troviamo agli inizi del romanzo e solo è alla fine, nonostante tutti i suoi soldi e la sua popolarità. Un'amara critica contro la falsità e l'ipocrisia e, di nuovo, sulla voracità di una società che sa solo prendere senza dare, e sfruttare gli altri per poi, quando non sono più utili, abbandonarli a sè stessi.
"Allora non erano solo le stelle a cui ambiva in quella notte di giugno."
L'amore per Daisy diventa il simbolo del suo desiderio impossibile di lasciarsi il passato alle spalle e diventare un uomo nuovo. Daisy incarna ciò cui più ambisce: un nuovo nome, una nuova posizione. Lei è irraggiungibile e bella come le stelle, ma è altrettanto fredda e, tutto sommato, comune. L'infelice amore di Gatsby, il suo disperato tentativo di cambiare il proprio destino è ciò che lo rende eroico e che lo avvicina al lettore.
Gli altri protagonisti della vicenda, che di per sè è abbastanza squallida e si eleva spiritualmente solo per la presenza del grandissimo Gatsby, sono Nick Carraway, il nostro narratore, e la frivola Daisy.
" << Sono contenta che sia una bambina. E spero che sia stupida - è la cosa migliore per una ragazza in questo mondo, essere una bella stupidina. >>"
Da sempre la società ci ingloba, maschi o femmine. Schiacciati dal peso delle aspettative, Fitzgerald ci delinea sempre perdenti, nel momento in cui cerchiamo di sfidare il dettame della consuetudine. Ne esce sconfitto Gatsby e ne esce sconfitta Daisy, che finisce per cedere e adeguarsi a quanto impostole. Ma quanta amarezza nasconde la sua frivolezza, quanta crudeltà la sua indifferenza?
Nick Carraway è il nostro narratore. Come accade anche in Cime tempestose, il fatto che la narrazione sia affidata a un personaggio coinvolto nella vicenda ma in realtà estraneo ai grandi sentimenti di essa protagonisti, rende "mitica" la storia, la eleva oltre la banalità del quotidiano e le dà un che di tragico e monumentale.
" (...) ecco l'inesauribile fascino altalenante, il suo tintinnio, il suono di cimbali... lassù, nel palazzo bianco la figlia del re, la ragazza d'oro..."
La patinata alta società dell'America del Novecento, con il suo senso di decadenza e di vacuità, è delineato da Fitzgerald quasi con ferocia. Ciò che Gatsby desidera come riscatto personale è in realtà un mondo di falsi ori che nasconde il metallo scadente sotto una verniciatura fresca. Eppure, se si guarda con attenzione, se ne intravedono già le crepe: nel matrimonio di Daisy e Tom, nella squallida Myrtle, nelle feste sfrenate ma vuote di Gatsby.
Il grande Gatsby non è un libro rassicurante ma quasi crudele nella spietatezza della sua critica. Vi lascio con le ultime righe, perchè credo che sintetizzino benissimo ciò che lo scrittore ci vuole dire:
"E mentre sedevo là a riflettere sul vecchio mondo sconosciuto, pensai alla meraviglia di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde sul molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per arrivare a questo prato azzurro, e il suo sogno gli doveva essere sembrato così vicino da non potergli più sfuggire. Non sapeva che l'aveva già alle spalle, da qualche parte nella vasta oscurità oltre la città, dove i campi bui della repubblica si stendevano nella notte.
Gatsby credeva nella luce verde, al futuro orgiastico che anno dopo anno indietreggia di fronte a noi. Ci è sfuggito allora, ma non importa - domani correremo più forte, allungheremo ancora di più le braccia.. E una bella mattina...
Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato."
Virginia