venerdì 22 settembre 2017

Recensione: Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson

Titolo: Io non mi chiamo Miriam
Autore: Majgull Axelsson
Traduttore: Laura Cangemi
Casa editrice: Iperborea
Numero di pagine: 539
Formato: Cartaceo

"Io non mi chiamo Miriam", dice di colpo un'elegante signora svedese il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant'anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. Così Malika diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra, dove i rom, malgrado tutto, erano ancora perseguitati. Dando voce e corpo a una donna non ebrea che ha vissuto sulla propria pelle l'Olocausto, Majgull Axelsson affronta con rara delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia d'Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom, che osò ribellarsi con ogni mezzo alle SS di Auschwitz. Io non mi chiamo Miriam parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l'"altro" interrogandosi sull'identità - etnica, culturale, ma soprattutto personale - e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all'erta, a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno.



Buon venerdì lettori:) Oggi finalmente ritorno con la recensione di un libro! Eh si, il mio ritmo di lettura in questi mesi è calato, complici anche i tanti nuovi interessi che sono nati in questo periodo, ma io tengo duro, anche solo per trovare piccoli gioielli come il romanzo che vi recensisco oggi.
Iperborea è sicuramente una casa editrice cui prestare attenzione. Qui in Italia le librerie pullulano di gialli nordici (in particolare svedesi) ed è facile dimenticarsi che i Paesi nordici hanno una loro letteratura e che spesso è di tutto rispetto. Come vi ho già detto anche ai tempi di Bjorn Larsson (qui la mia recensione), queste edizioni sono di assoluto pregio. Il formato è assolutamente innovativo - e intrigante, a mio parere - e troviamo un breve saggio a fine libro che ci permette di inquadrare meglio quanto letto.
Io non mi chiamo Miriam affronta coraggiosamente un tema cui siamo ormai avvezzi: la Seconda Guerra Mondiale e i campi di sterminio. Lo fa, però, in maniera diversa. Protagonista è l'anziana Miriam che, il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, non riesce più a nascondere dentro di sè i ricordi legati agli anni imprigionata ad Auschwitz prima e a Ravensbruck poi. Soprattutto, non riesce più a negare, anche solo a sè stessa, una verità sepolta dentro di lei da fin troppo tempo: il suo nome non è Miriam.
Il libro non è che lo svelamento, nell'intrecciarsi fra presente e passato, della verità su Miriam - o meglio, Malika. Una verità taciuta dalla protagonista per più di cinquant'anni. Ma come spiegare ai propri cari e amici di aver finto fin dall'inizio di essere un'ebrea quando invece è una zingara?
Il romanzo affronta varie tematiche.
Quella più evidente è quella della vita nei campi di concentramento, raccontati qui con assoluta crudezza. La disperazione che prima imbruttisce e poi uccide - anche solo moralmente - i prigionieri (Se questo è un uomo, ci chiede infatti Primo Levi); la bassezza infinita e la mancanza di umanità dei carcerieri, la cattiveria dei detenuti verso altri nella stessa situazioni. Sopravvivere vuol dire sacrificare l'altro al proprio posto e uno dei pochi modi per mantenere un barlume di umanità è proprio quello di svincolare da questo ragionamento, una cosa che la giovanissima e stremata Miriam imparerà da Else, che ci mostra come l'amore possa trovarci ovunque.
Uno dei temi cardine del romanzo è, ovviamente, quello dell'identità. Nel caso di Miriam/Malika, l'identità personale si fonde con quella culturale. Quando da Malika diventa Miriam lo fa solo per contingenza, ma il momento in cui decide di continuare con questa menzogna o addirittura di rinnegare le sue radici, è come se voltasse le spalle a tutti gli altri zingari. Un senso di colpa che la tormenta perfino a 85 anni; una debolezza che non è mai riuscita a perdonarsi. Ma a parte le questioni etniche, chi è Miriam? Malika è la ragazzina ormai perduta fin troppi anni fa, è una parte di lei ma non è più lei; Miriam è la nuova identità che ha trafugato e che ha indossato per quasi tutta la sua vita, eppure non le appartiene completamente. La sua stessa vita sembra spaccata in due: il campo di concentramento prima e la Svezia poi. Come far collimare il fantasma incattivito che a stento si reggeva in piedi in Germania con la perfetta casalinga svedese, la cui vita fatta di pellicce e borsette sembra perfetta? Ma la realtà - quella vera e oscura - è appena dietro l'angolo, negli incubi che la perseguitano la notte e per quel fondo di odio - verso tutto e tutti - che talvolta riemerge. Ma va ricacciato in fondo, sempre più in fondo, perchè in questa nuova vita luminosa non c'è posto per le ombre di un passato che nessuno sembra davvero interessato a ricordare - Dimentica e sopravvivi, si ripete instancabilmente la stessa Miriam, seguendo la lezione di un padre ormai sepolto negli abissi della memoria. Dimenticare diventa essenziale. Ma ciò che è avvenuto è troppo terribile per poter essere cancellato, e a 85 anni Miriam non riesce più a stare zitta. Di fondo, però, rimane la domanda: chi è davvero lei?
La feroce determinazione con cui Miriam cerca di cancellare Malika e il suo passato è dolorosa. Miriam, ebrea di buona famiglia, diventa il suo migliore travestimento. Chi, infatti, vorrebbe mai aiutare una rom? Nel corso della sua permanenza nei campi e perfino in Svezia, innumerevoli volte ha visto cosa succederebbe se la verità venisse fuori: disprezzo, sfiducia, miseria. Per sopravvivere, Malika dimentica perfino sè stessa e diventa Miriam.
Uno dei pezzi più pesanti da leggere (io piangevo e non mi capita quasi mai - ma i bambini mi fanno questo effetto) è la storia di Didi, il fratellino di Malika, il bambino che ha cresciuto al posto della madre, morta da anni. La sua morte crudele è uno spettro che aleggia per tutto il romanzo ma solo verso la fine del suo racconto Miriam troverà la forza di aprire anche quella porta, l'ultima e la più estrema, il dolore più profondo che non è mai riuscita a cancellare davvero. In questo caso, l'autrice coinvolge il dottor Mengele, tristemente noto per gli esperimenti che conduceva sui prigionieri dei campi di concentramento.
Quello che mi è veramente piaciuto di questo romanzo è che affronta un'altra importante tematica, che forse spesso finisce per essere dimenticata: cosa accadde ai sopravvissuti? Una volta liberati, cos'è accaduto a questi spettri? Com'è possibile tornare umani dopo tutto l'orrore?
Non si ritorna mai del tutto, ecco come. Si lotta per seppellire ogni cosa, perchè com'è possibile vivere dopo aver visto quali picchi di crudeltà e bassezza può raggiungere l'uomo? Miriam cancella sè stessa, rinnega il suo passato, la sua lingua e il suo popolo. Di più, cerca la sicurezza data dall'invisibilità e dall'omologazione. Non vuole spiccare o essere diversa, ma solo nascondersi. E per farlo è pronta a tutto, perfino ad adattarsi alla volontà di benefattori che troppo spesso sembrano dimenticarsi di lei e finiscono per vederla come un'opera di bene, un monumento a sè stessi. Così ho visto Hanna e Olof. Nonostante il loro indiscutibile buon cuore, quello che vogliono è che Miriam rientri perfettamente nei loro parametri, senza sbavature. Miriam se ne rende subito conto ed è ben felice di accontentarli. E alla fine del romanzo non riusciamo a capire quanta effettiva felicità ci sia stata nella vita di Miriam, quella apparentemente perfetta condotta in Svezia.
Questo libro mi è piaciuto parecchio ma ha, a mio parere, qualche sbavatura. Ciò che mi è piaciuta di meno è la cornice, ovvero la Miriam di 85 anni che rivela a sua nipote Camilla la sua vera storia. Non mi è piaciuta questa Miriam, così come non ho amato la sua famiglia assolutamente disfunzionale - e non in senso simpatico. L'autrice mette parecchia carne al fuoco, troppa se si tiene conto del fatto che queste tematiche non verranno mai approfondite ma lasciate là, semplice orpello per una narrazione che si concentra su ben altro. Così come non ho apprezzato, sono sincera, ilo tentativo di sconvolgere il lettore con qualche artificio narrativo. Il materiale è già pesante di suo senza scadere nel teatrale, secondo me - ma questo è un atteggiamento che ho riscontrato in pochi pezzi.
Quindi, per concludere, un libro che mi è piaciuto molto e che mi ha addirittura fatta piangere. Ve lo consiglio assolutamente, ma solo se non temete le storie dure e, purtroppo, fin troppo vere.
Per parte mia non vedo l'ora di leggere un altro titolo Iperborea, una CE che ha davvero un catalogo valido e degno d'attenzione!

Virginia

15 commenti:

  1. Cara Virginia, grazie per questa bella recensione di un libro che mi sta intrigando tantissimo, attorno al quale sto girando da un bel po'. Come dici tu l'argomento è forte e io sono al tempo stesso attratta e turbata dalle storie così intense. Ma sento che, complice anche il tempo che qui a Roma sta volgendo decisamente verso un autunno freddo e crepuscolare, le mie tensioni letterarie stanno volgendo a storie di questo tipo. Considerando il mio amore per i paesi nordici, per le atmosfere buie e cupe, per il freddo pungente che sta fuori e anche un po' dentro l'anima, credo proprio che una storia così sia nelle mie corde.
    Anche a me piace molto il formato particolare ed elegante della CE Iperborea... ha un solo difetto però: il mio segnalibro "storico" (una vecchia cartolina d'aitore che mio marito - allora mio fidanzato - mi ha regalato millemila anni fa, e che uso sempre per ogni libro che leggo) non ci sta in larghezza!! ;-)
    Ciao e buonfinesettimana da Eva

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    1. Ciao Eva, grazie a te per essere passata! Questo è davvero un libro meritevole d'attenzione e l'autunno gli si addice molto, così come l'inverno. Certo, ci vuole l'umore giusto e forse anche un po' di capacità di prendere le distanze da certi temi.
      Peccato per il segnalibroxD In alternativa, potresti prenderne uno solo per gli Iperborea:P
      Buona settimana!

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  2. La trama sembrava molto interessante ma dalle tue parole mi sembra troppo pesante per i miei gusti! Passo!
    Come sempre bella recensione ;)

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    1. In effetti non è un libro per chi vuole solo svagarsi un po' e non mi sembra molto il tuo generexD
      Grazie:)

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  3. L'Iperborea è una CE che merita davvero molto e ci sono tantissimi suoi libri che vorrei leggere. Io mi chiamo Miriam, in particolare, mi è piaciuto moltissimo sia per le tematiche trattate che per la diversa prospettiva attraverso cui lo fa, ma concordo con te sul fatto che la storia della sua complicata famiglia (figlio, nuora e compagnia bella) poteva anche essere lasciata da parte. Avrei probabilmente preferito un suo personale viaggio nella memoria anziché doverla vedere inutilmente interagire con personaggi che, di fatto, non avevano alcuna utilità ai fini della storia. Sono però curiosa di sapere quali artifici narrativi non hai apprezzato.

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    1. Ah guarda, io ne voglio parecchi, infatti sto attuando la tecnica del come ne leggo uno, ne compro un altro. Detto fatto, mi sono già procurata Anime baltiche di Jan Brokken, che mi interessava da tempo. Non so quando lo leggerò, ma intanto è lì. E letto quello ne prenderò un altro! Purtroppo un po' costano ma è un "sacrificio" che faccio volentieri:)
      Con "artifici narrativi" intendevo che talvolta mi è sembrato che l'autrice calcasse un po' troppo la mano, cercando di sconvolgere il lettore su una materia già sconvolgente di suo. Non so, certe volte mi ha dato proprio l'impressione di artificiale e mi è dispiaciuto perchè nella maggior parte dei casi il libro scorreva con molta naturalezza.
      Ma questa è stata solo una mia impressione, che ha intaccato fino a un certo punto il mio gradimento generale del libro:)

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  4. Virginia, questa credo sia una delle tue più belle recensioni, complimenti! :) Tralasciando, per ora, i pochi aspetti negativi che hai riscontrato durante la lettura, la storia mi ispira tantissimo e sono assolutamente convinta di volerla leggere.
    Abbandonare, o meglio dimenticare la propria, vera, identità non è facile e sono curiosa di scoprire come la protagonista abbia vissuto questo aspetto della propria vita. Inoltre voglio ripercorrere con lei la sua vita, dai campi di concentramento alla sua nuova esistenza in Svezia.
    Sì, sono proprio curiosa riguardo questo libro, sicuramente sarà particolare e speciale. :)

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    1. Grazie mille Maria, le tue parole mi hanno resa felicissima!
      Questo libro te lo consiglio moltissimo, secondo me offre molti spunti di riflessione, spesso amari. E il tema dell'identità è uno di quelli che più mi interessano e che qui ho trovato svolto molto bene.
      Se lo leggerai, mi raccomando, fanne una recensione!

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  5. Complimenti per la recensione. Avevo adocchiato questo libro ma poi lo avevo lasciato sugli scaffali della libreria... la trama mi sembrava promettente, ma non ero dell'umore giusto per una lettura del genere, ma la tua recensione mi ha catturato. Spero di riuscire a leggerlo, prima o poi.

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    1. Grazie*-*
      Si, bisogna essere dell'umore giusto per leggere questo libro. Indubbiamente è una lettura impegnativa dal punto di vista delle tematiche, però io l'ho trovato allo stesso tempo anche molto scorrevole.
      Se lo leggi, poi fammi sapere!

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  6. Ciao Virginia, che bellissima recensione! E complimenti, che stomaco hai per leggere testi così pesanti! Io leggo tante cose, ma devo ammettere che ho sempre avuto una gran paura ad affrontare letture che coinvolgono i campi di concentramento. Mi terrorizza sapere che tutto quello che leggo è successo veramente. A parte questo, il titolo che ci hai proposto è davvero innovativo! Oltre a raccontare il periodo post traumatico e l'impossibilità di superarlo, nonostante le richieste di normalizzazione della società, mi ha colpito moltissimo la scelta dell'autrice di raccontare la storia di una rom, un popolo che è tuttora estremamente stigmatizzato in tutte le società. Finalmente emergono anche le altre storie, oltre a quelle del popolo ebreo, le storie sepolte, che tutti conoscono ma nessuno racconta, le storie degli emarginati tra le vittime. Non so se avrò il coraggio di leggerlo, per i motivi che ti dicevo prima, ma lo terrò di certo a mente, nel caso mi venga una botta di spavalderia! ^_^ Un bacione!

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    1. Ciao Duille, grazie mille:)
      Io ho la fortuna (diciamo così) di riuscire a mantenere un po' le distanze quando leggo/vedo un film. Questo è il motivo, credo, per cui non piango quasi mai ed è ciò che mi permette di affrontare determinate letture (con palesi eccezioni - La trilogia della città di K, per fare un esempio).
      Ciò che mi ha colpita molto di questa lettura, come dici tu, è la normalizzazione imposta dalla società, che NON vuole ricordare, e il modo in cui chiunque non riuscisse a farlo venisse allontanato ed evitato. Certo fa pensare. Come anche la definizione di "emarginati fra le vittime" che hai usato tu e che si sposa alla perfezione.
      Io te lo consiglio molto, ma rispetto la sensibilità di ognuno:)
      Un bacio:-*

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  7. Great post!

    You have a nice blog!

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    Have a great day!

    xoxo Jacqueline
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  8. Ciao Virginia, una storia molto interessante come sempre quando ci presenti una tua lettura. Hai ragione, ormai le tematiche svedesi che giungono in Italia sono sempre le stesse e si perdono altri tipi di letture come questa. Mi è piaciuto molto, ma è sempre così, come ne hai parlato, unendo riflessioni a pensieri più personali.
    Un libro certamente da considerare senza il minimo dubbio.
    Un abbraccio!

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    1. Ciao Antonietta, sono contenta che i libri che vi propongo ti piacciano!
      Se sei interessata a una letteratura nordica diversa dai thriller (senza nulla togliere, ci mancherebbe!) ti consiglio davvero la casa editrice Iperborea, ha un catalogo interessantissimo!
      Se ti capita di leggere questo titolo in particolare fammi sapere cosa ne pensi!
      Un bacio:-*

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