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Titolo: Orgoglio e pregiudizio Autore: Jane Austen Traduttore: Maria Luisa Agosti Castellani Casa editrice: Bur Numero di pagine: 300 Formato: Cartaceo |
I romanzi di Jane Austen, che oggi BUR propone in un unico volume, sono da considerare come il luogo nel quale la scrittrice inglese ha studiato al microscopio l'intera e complessa fenomenologia dell'aristocrazia di campagna inglese, le sue rigidità e le sue perversioni, l'intensa passionalità repressa e il continuo irrisolvibile contrasto tra i valori personali dell'individuo e quelli sociali della collettività. Da "Orgoglio e pregiudizio" a "Emma", da "Mansfield Park" a "Ragione e sentimento", da "Persuasione" a "L'abbazia di Northanger", Jane Austen ha dipinto un immenso affresco di un'epoca, quella dell'Inghilterra vittoriana, piena di risorse e di contraddizioni, e una prosa elegante e ironica.
"È verità universalmente ammessa che uno scapolo fornito di un buon patrimonio debba sentire il bisogno di ammogliarsi."
Questo è uno degli incipit più noti del mondo, per uno dei libri più celebri della letteratura mondiale. Letto per la prima volta a 11 anni (subito dopo Jane Eyre, fra l'altro - una goduria*-*), Orgoglio e pregiudizio è uno di quei romanzi che ho riletto fino alla morte, motivo per cui era da un po' che non lo prendevo in mano. Da un po' di tempo, però, sentivo il bisogno di tornare un po' a frequentare la famiglia Bennet e la botta finale me l'ha data la lettura al mare di un saggio molto bello edito da Flower-ed (sempre cose belle per questa CE*-*), ovvero Jane Austen. Donna e scrittrice di Romina Angelici. Tornata a casa, mi sono quasi subito immersa nella rilettura e, anche grazie alle riflessioni presenti nel saggio, sono riuscita a vedere in una nuova luce un romanzo che non credevo potesse più darmi nulla di nuovo.
Nonostante io abbia letto tutti i romanzi della Austen (alcuni anche più volte), non mi sono mai definita una Jeneite. Il motivo è semplice: per quanto potessi apprezzare i suoi libri, non riuscivo mai a scorgervi quel qualcosa che mi coinvolgesse a livello più viscerale.
Questa volta è successo?
Si e no.
Come vi dicevo, il saggio della Angelici (che consiglio moltissimo a tutti, anche a chi non ha mai letto nulla dell'autrice) è stato illuminante. Il suo maggior pregio è la completezza: riunisce in una rapida ma precisa carrellata i vari aspetti di questa donna. Di Jane Austen sappiamo tutto e non sappiamo niente: man mano che procedevo con il saggio, mi rendevo conto di come la personalità che emergeva da lettere e biografie fosse ambigua, almeno per me. Da una parte abbiamo una "leziosa farfalla", come viene definita, che salta da un ricevimento all'altro, che ama civettare e spettegolare; dall'altra abbiamo la minuziosa osservatrice che traeva spunto da quanto la circondava per reinserirlo, con la precisione di un bisturi, in quanto scriveva. Di Jane Austen troviamo labili tracce anche nei suoi scritti, se si ha la pazienza di cercare. Se il paragone più ovvio e immediato è quello con Elizabeth Bennet, c'è chi l'ha ritrovata in Anne Elliot (Persuasione) e addirittura in Miss Bates (Emma). Consapevole che ogni suo scritto veniva passato al setaccio da familiari e conoscenti, la Austen cerca però di essere il più invisibile possibile: la sua è una penna che tiene le distanze, la sua è una voce che si mescola così tanto a quelle dei suoi personaggi da apparire solo come un fioco bisbiglio sullo sfondo, quando addirittura non svanisce del tutto. Sicuramente era una scrittrice molto diversa dalla mia adorata Charlotte Bronte, che viene accusata da Virginia Woolf (Una stanza tutta per sè) di non riuscire a separare sè stessa dalle sue storie, da essere fin troppo presente nella voce delle protagoniste; e per questo la Woolf le riteneva superiore la "frivola" Jane Austen.
La Austen univa dunque un carattere poco avventuroso (la sua vita, per certi aspetti, fu incredibilmente piatta e quasi priva di eventi significativi) a uno spirito d'osservazione quasi feroce, una penna acuminata come un bisturi e un senso dell'umorismo vagamente irriverente.
Tutto questo si traduce nei suoi libri, compreso il suo lavoro più noto, Orgoglio e pregiudizio.
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L'interessante saggio di Romina Angelici |
Di tutte le sue eroine, credo che Elizabeth Bennet sia quella che più le somigliasse. Dall'epistolario della Austen, viene fuori un'osservatrice attenta e una commentatrice arguta, entrambe caratteristiche che appartengono anche a Elizabeth. Come negli altri romanzi dell'autrice, ritroviamo un'ambientazione di campagna, lontano dalla grande città, che ci raggiunge solo per sentito dire. Jane Austen parlava solo di ciò che conosceva, quindi i suoi sono minuti ma precisi disegni di una piccola cerchia di famiglie, quel tanto che basta per movimentare un po' la narrazione e per avere sempre qualche pettegolezzo nuovo. Leggere un libro di Jane Austen, infatti, è come immergersi in un'allegra spettegolata fra comari: oggetto delle chiacchiere non sono - in genere - grandi disgrazie, ma quelle piccole, enormi banalità che caratterizzano le vite comuni: matrimoni, balli, scandali. Lo stile della Austen è frizzante e mai piatto e il lettore sorride spesso e volentieri alla maliziosa ironia dell'autrice, che sembra ammiccare fra le righe. Faccio fatica a comprendere come si possa definire noiosa una narrazione così deliziosa; come si possa disprezzare una scrittrice che è riuscita a racchiudere con una prosa elegante e liscia come l'olio una materia piatta di per sè.
Soprattutto, faccio fatica a comprendere chi legge Jane Austen solo per le storie d'amore. Le sue sono tutto tranne che storie d'amore. Il fatto che il finale sia sempre lo stesso - il matrimonio - non fa altro che sottolineare come per la donna all'epoca non ci fosse altro traguardo da raggiungere che un buon matrimonio. Per questo scrittrici come Jane Austen e le sorelle Bronte si distinguono così tanto e hanno segnato così tanto l'immaginario collettivo: Anne Elliot, parlando con il capitano Wentworth, riflette amaramente su come la donna sia portata dalla società stessa a ossessionarsi su questi temi, non potendo avere altre distrazioni, a differenza degli uomini; Jane Eyre desidera andare oltre il ruolo in cui è incastonata e l'irrequietezza, la brama di qualcosa di diverso le bruciano l'anima.
È indubbio però che una delle ragioni del grandissimo successo di Orgoglio e pregiudizio sia la storia d'amore fra Elizabeth e Mr Darcy. A costo di essere tacciata di eresia e presa a sassate, confesso di non averlo mai amato particolarmente. Col senno di poi, sebbene abbia letto sempre con piacere anche la trama romantica, a incatenarmi alle pagine è sempre stato lo stile della Austen. A piacermi molto, inoltre, è stato ogni volta il processo di cambiamento dei due protagonisti, in particolare di Elizabeth (Darcy è un personaggio che conosciamo soprattutto attraverso gli occhi di Elizabeth; raramente ci è stato concesso di entrare ne suoi pensieri). Se i personaggi di contorno rimangono più che altro delle macchiette fisse, Elizabeth è un personaggio che cambia in maniera netta ma assolutamente credibile. Scossa nella sua più intima certezza - quella di riuscire a interpretare bene le persone - deve rapidamente fare i conti con il pregiudizio che le ha offuscato la mente e rendersi conto di essere, forse, meno intelligente di quel che pensava. Sia per lei che per il lettore è mortificante dover ribaltare completamente l'opinione che si era andata formando di ben due personaggi. Un'amara lezione sulla fatuità delle apparenze e delle prime impressioni (non a caso, il primo titolo ipotizzato per il romanzo è stato First Impressions), sulla base delle quali troppo spesso incaselliamo le persone. Come arriverà a comprendere Elizabeth, l'interesse nato da una personalità più piacevole sembra più vivo di quello dato dato dal rispetto e dall'ammirazione, che però sono basi molto più solide sulle quali costruire il proprio futuro.
Con questa riflessione mi collego a un altro argomento molto caro a Jane Austen: il matrimonio. Come scrivevo poco più sopra, il matrimonio rappresentava la maggiore aspirazione per tutte le donne dell'epoca perchè non potevano averne altra; inoltre, le donne avevano bisogno del matrimonio per cementare la propria posizione e assicurarsi una vita di agiatezze. Se si riusciva ad accalappiare un buon partito, certo. In Orgoglio e pregiudizio abbiamo rappresentate le due posizioni femminili riguardo al matrimonio dai personaggi di Elizabeth Bennet e di Charlotte Lucas: la prima non concepisce di sposarsi se non per amore, la seconda considera le cose in maniera più cinica e, pur di assicurarsi una propria autonomia, acconsente a un matrimonio assolutamente degradante.
La maggior parte dei lettori non apprezza il personaggio di Charlotte Lucas; la stessa Jane Austen, che piuttosto che sposarsi senza vero amore è rimasta zitella (o single, come preferisco ioxD) tutta la vita, non doveva ritrovarsi molto in quella decisione.
Per parte mia, Charlotte mi è sempre piaciuta e l'ho sempre capita. All'epoca il matrimonio era considerato l'unica forma di autonomia che una donna potesse raggiungere. Charlotte, ormai ventisettenne (per l'epoca un caso disperato), si aggrappa all'unica occasione che le si offre per fuggire un destino di totale dipendenza: prima dai genitori, poi dai fratelli. L'unico destino che si prospetta a donne prive di mezzi e nubili è quello di lavorare, e anche in quel caso si tratta di una scelta molto più limitata. Coerentemente con la sua epoca, Charlotte fa una scelta unicamente di comodo. Come lettrice, non mi sono mai sentita di biasimarla per questo.
Come scrivevo poco sopra, Jane Austen era famosa per essere una fine osservatrice e per divertirsi molto nel rapportarsi con le bizzarrie e le originalità dei conoscenti. In questo senso, i personaggi secondari dei suoi lavori sono senz'altro degni di nota. A parte i casi dove il personaggio riveste un ruolo negativo (per fare un esempio, Caroline Bingley), la Austen si diverte alle spalle delle sue creazioni senza cattiveria. Nonostante ciò, l'ho sempre trovata molto dura e anche, per certi aspetti, sottilmente crudele.
Per farvi capire al meglio, prendo in esame un personaggio che, in questo specifico caso, mi ha colpita: Mary Bennet. Delle cinque sorelle, Mary è sicuramente la più trascurata: Elizabeth e Jane sono le protagoniste; Lydia, pur nella sua negatività, è ben caratterizzata; Kitty appare principalmente come spalla di Lydia ma raggiunge una sua redenzione finale. Mary è, per certi versi, la sorella dimenticata. Non ci sono parole buone per lei ma solo una risatina di scherno. Mary è noiosa, pomposa, bruttina e stima un po' troppo la propria intelligenza. Mi ha sempre colpita la totale assenza di pietà per questo personaggio-tipo: oggetto di scherno ma mai abbastanza negativo da meritarsi altro che ridicolo. Questo mi ha sempre dato un po' un'idea di una Jane Austen fin troppo portata a ridicolizzare ciò che le stava attorno (senza magari tenere conto delle proprie bizzarrie e ridicolaggini - tutti le abbiamo), senza lasciare mai il posto a un po' di comprensione: Mary è considerata la brutta della famiglia. Incapace di competere le sorelle in tema di bellezza e matrimonio (ricordiamo che per l'epoca - e spesso e volentieri anche adesso - alla donna non era richiesto che essere bella), decide di buttarsi nello studio. Non particolarmente ingegnosa di suo, finisce - senza neanche accorgersene - per coprirsi di ridicolo. Jane Austen, però, non le concede la minima pietà.
Gli argomenti da trattare riguardo a questo libro sarebbero molti altri, e non sarei la prima a farlo. Per questo ho preferito concentrarmi su temi meno discussi - spero - o che comunque alle prime letture avevo percepito meno. Crescendo cambia l'approccio coi libri letti da più giovani, è inevitabile. Nel caso della Austen, la maturità ha portato più riflessione, anche se non maggior gradimento. Nonostante riconosca la bravura di quest'autrice e nonostante i suoi libri mi piacciano, continuo a non essere una sua fan sfegatata.
E voi, cosa ne pensate della famosissima Jane Austen? Condividete la mia opinione o ne avete una contraria?
Virginia