venerdì 3 giugno 2016

Recensione: I Vicerè di Federico De Roberto

Titolo: I Vicerè
Autore: Federico De Roberto
Casa editrice: Newton Compton
Numero di pagine: 509
Formato: Cartaceo

Con "I Viceré" De Roberto raggiunge la pienezza e la forza espressiva del capolavoro. In questo romanzo storico, paragonabile per impianto e grandezza a "I Buddenbrook" di Thomas Mann, l'autore crea un equilibrio perfetto fra la rappresentazione del "decadimento fisico e morale d'una stirpe esausta" e le vicende dell'unificazione italiana. Il libro racconta la saga di una grande famiglia aristocratica siciliana di ascendenza spagnola, gli Uzeda. A partire dalla fatidica morte della capostipite, le vicende familiari si dipanano sullo sfondo di una Sicilia feudale e borbonica; e d'altra parte, la storia della Sicilia e dell'Italia entra, a poco a poco ma inarrestabile, nel recinto familiare.

I Vicerè è la storia degli Uzeda, nobile famiglia siciliana, le cui vicende personali si intrecciano con avvenimenti più grandi quali l'Unità d'Italia, Garibaldi e le riforme che, rapide, si susseguono e segnano il nuovo volto del Paese, avvenimenti che segnano il definitivo tramonto di un pezzo di storia che aveva visto i nobili e i potenti come assoluti protagonisti.

Il primo capitolo si apre con la morte di Teresa Uzeda, Principessa di Francalanza e tiranno familiare. Detentrice in vita di tutte le ricchezze e dell'autorità, la Principessa ha fatto il bello e il cattivo tempo, attirandosi le critiche feroci dei cognati e il risentimento dei suoi figli, compreso Raimondo, il suo preferito, che la Principessa ha favorito in tutto, a discapito di tutti gli altri. Nel momento in cui la capostipite muore, il grande interrogativo è come avrà disposto dei suoi averi nel testamento: avrà seguito, almeno alla fine, le consuetudini, favorendo il primogenito Giacomo, o avrà dato scandalo proteggendo fino all'ultimo Raimondo?
Il primo capitolo è estremamente caotico. De Roberto mette in scena una sfilza infinita di personaggi e il lettore dovrà aspettare i capitoli successivi per cominciare finalmente a barcamenarsi in tutto quel caos. La maestria di De Roberto si manifesta fin dagli inizi: delinea abilmente i personaggi e ognuno di loro si impone al lettore con una sua personalità ben definita. Abbiamo quindi i figli ed eredi della Principessa: Giacomo e Raimondo, Ferdinando e Lodovico, suo Crocifissa, Chiara e Lucrezia. Ci sono poi i cognati Uzeda, protagonisti della storia al pari dei figli: don Blasco, donna Ferdinanda la zitellona, don Eugenio e don Gaspare, duca d'Oragua. A loro si aggiungono i mariti e le mogli degli Uzeda: Matilde, moglie di Raimondo; la nuova Principessa, moglie di Giacomo; il marchese Federico, marito di Chiara. Infine, i figli: Consalvo e Teresa, figli di Giacomo. Le vicende di tutti questi Uzeda si mescolano anche a quelle di personaggi estranei alla famiglia: i Giulente, donna Graziella, la Sigaraia e donna Isabella Fersa (i nomi più importanti che mi vengono in mente).
 L'unico altro classico italiano da me letto, in precedenza, era stato il celebre I promessi sposi di Manzoni, letto per ragioni scolastiche (chissà, potrei decidere di rileggerlo per conto mio, un giorno). Ammetto che quella lettura - a dir poco indigesta - mi aveva scoraggiata dal procedere con altre letture nostrane. I Vicerè mi incuriosivano, però, quindi alla fine l'ho letto. Che dire? Mi è piaciuto moltissimo! Lo stile di De Roberto è scorrevole e ironico e mescola sapientemente la risata e la riflessione. Il risultato è un romanzo all'apparenza leggero (compatibilmente con uno stile un po' antiquato), ma che ritrae un'Italia gretta, meschina e assolutamente attuale.
Punto saliente de I Vicerè è senza dubbio il fatto di intrecciare storia familiare e Storia. In questo caso, De Roberto ci narra di un avvenimento fondamentale per noi: l'Unità d'Italia. Accanto agli Uzeda, dunque, leggiamo nomi storici e familiari quali Garibaldi, Bixio e Cavour. In questa nuova Italia unita, non c'è più posto per i borbonici conservatori e il popolo vive una nuova rivincita. Gli Uzeda, gelosi del loro potere e del loro prestigio, si spaccano a metà, ma sempre rimanendo sè stessi: da una parte gli ultraconservatori (come don Blasco e donna Ferdinanda), dall'altra quelli che capiscono che bisogna adattarsi alla nuova situazione e spremere il più possibile. Tra questi ultimi troviamo il duca d'Oragua, codardo approfittatore che, a forza di tenere la parte ai conservatori e ai liberali contemporaneamente, riuscirà a guadagnarsi la nomea di eroe e ad essere deputato di Sicilia; e troviamo anche Consalvo che, desideroso di potere, capirà che il modo più veloce per ottenerlo è quello di avere un ruolo politico di spicco in questa nuova Italia. Perfetto esempio della mentalità Uzeda sarà la celebre frase di Giacomo che, rivolgendosi al piccolo Consalvo, gli indicherà lo zio deputato e gli dirà:
"Quando c'erano i Vicerè, i nostri erano Vicerè; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato."
Chi sono quindi questi Uzeda, questi Vicerè? Altro non sono che un'accozzaglia di ignoranti e taccagni, di furbi e indifferenti, di viziosi e snob. In una Sicilia dove il nome conta più dei fatti, il sangue blu degli Uzeda li protegge da ogni rappresaglia e perfino sulla spinta dell'Italia unita il rispetto per le convenzioni e la timorosa ammirazione per il rango superiore basterà un po' di scaltrezza per non perdere il privilegio accumulato in anni di furberie e furti.
In quarta di copertina, I Vicerè viene paragonato al celebre romanzo di Thomas Mann I Buddenbrook. Entrambi i romanzi si incentrano sulla storia di una famiglia ricca e potente e del suo evolversi con il trascorrere del tempo. Trovo però che fra i due romanzi vi sia una differenza fondamentale. I Buddenbrook, infatti, perdono ricchezza e prestigio, fino all'estinzione del nome, tutto a causa della Fortuna. La Fortuna che, come da saggezza popolare, aiuta gli audaci, toglie il suo favore a una famiglia che non osa più, che perde intuito e spregiudicatezza, rifugiandosi in commerci più sicuri e, quindi, più meschini. La "corruzione del sangue" viene dunque dall'interno, dai membri stessi della famiglia. Gli Uzeda, invece, grazie alla loro faccia tosta e alla loro scaltrezza, riescono a mantenere intatto il loro potere, cambiando nome ma non essenza, come spiega Consalvo a donna Ferdinanda: alla fine, gli Uzeda sono gli stessi violenti, pazzi e ostinati che, secoli prima, si davano battaglia tra padre e figlio e depredavano i vicini.
Un altro argomento affrontato da De Roberto è quello, fondamentale vista l'ambientazione del romanzo, della religione. La religione ha ampio spazio nella storia, ma è sempre delineata in termini critici e spregiativi. Don Blasco è un monaco benedettino, così come Lodovico; Consalvo viene educato in monastero e un'altra figlia della Principessa è suora - Suor Crocifissa. I monaci di De Roberto mangiano a quattro palmenti, giocano d'azzardo, hanno più amanti e figli e dormono fino a tardi. Insomma, i sacrifici sono pochi ma, nonostante ciò, gli Uzeda destinati alla vita di fede covano un feroce risentimento per ciò che è stato loro imposto. Questo è il caso di don Blasco, che desidera una vita di successo, desidera fare soldi e farsi conoscere e si sente sacrificato al monastero, nonostante tutto il cibo, il vino e le tre amanti. Diversa è la situazione di Lodovico. La Principessa lo costrinse a farsi frate per cedere il suo posto a Raimondo. Per questo Lodovico, che ha la capacità di guadagnarsi il favore dei superiori, aspetta solo la rivincita. Rivincita che, al momento opportuno, riesce a prendersi. Il destino peggiore è però riservato alle donne. Destinate al chiostro, a matrimoni vantaggiosi o a restare zitelle per non dividere il patrimonio di famiglia, non hanno voce in capitolo e su di loro vengono fatte le maggiori pressioni. Se un matrimonio è rifiutato, quindi, si guadagnano il biasimo dei genitori e della parentela tutta e si beccano le paternali dei preti di famiglia. Le Uzeda, famose per la loro testardaggine, tengono duro, ma solo una di loro riuscirà, con grandi lotte, ad ottenere ciò che vuole.
Come già ho detto, la forza di questo romanzo sono i personaggi. Rivestendo vari ruoli (nobili, politici, religiosi), gli Uzeda riescono a dare al lettore un'idea di come funzionavano le cose in vari ambiti. Ciò che colpisce, e non in positivo, è che ogni cosa è corrotta e guasta, e non diversa da com'è adesso. Nonostante questo, gli Uzeda riescono ad attirarsi, se non le simpatie, quantomeno gli interessi del lettore. Spesso ho riso delle loro uscite (in particolare con l'inestimabile don Blasco) e capisco la fascinazione dei compaesani, che alternano notizie dalla politica della nuova Italia al nuovo scandalo degli Uzeda. Perchè sono tutto uno scandalo, questi Vicerè! Ognuno vuol fare quello che gli pare e si creano continui scontri e tensioni, con le alleanze che cambiano di volta in volta, con contraddizioni continue, stramberie e pettegolezzo continuo. Non ci si può annoiare a leggere degli Uzeda, insomma.
Lo consiglio a tutti, perchè è una lettura leggera e impegnata a un tempo e tiene piacevolmente avvinto il lettore per tutte le 500 pagine.



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