venerdì 31 marzo 2017

Recensione: La legge e la signora di Wilkie Collins

Titolo: La legge e la signora
Autore: Wilkie Collins
Traduttore: Luca Scarlini
Casa editrice: Fazi
Numero di pagine: 402
Formato: Cartaceo

La Legge e la Signora, opera della maturità di Wilkie Collins, oltre a presentare diversi elementi della moderna letteratura di genere, è il primo esempio di romanzo poliziesco che ha per protagonista un investigatore donna. La vita matrimoniale di Valeria ed Eustace Woodville inizia sotto cattivi auspici. Un piccolo incidente durante la celebrazione del rito sembra confermare il clima di diffidenza e sospetto che lo ha accompagnato e che cresce ulteriormente quando, durante la luna di miele a Ramsgate, la donna viene a sapere che il vero cognome del marito è Macallan. Tornata a Londra, decisa ad andare fino in fondo, scopre che anni addietro Eustace è stato accusato di aver avvelenato la prima moglie ed è stato assolto per insufficienza di prove. Per salvaguardare il suo matrimonio, Valeria s’improvvisa detective: è convinta dell’innocenza del marito e determinata a ristabilire la verità. Si troverà così ad affrontare problemi ritenuti “inadatti a una donna”, riuscendo a venirne a capo e dimostrando la fondatezza delle proprie azioni, che tutti stigmatizzavano come folli e avventate.
Strepitoso ritratto di una donna che non esita a opporsi ai modelli e alle regole della società vittoriana, La Legge e la Signora è una narrazione coinvolgente e di grande fascino da leggere – come ogni romanzo di Collins – tutto d’un fiato.
«I romanzoni di Wilkie Collins sono viaggi irresistibili: agganciano subito il lettore, che quando parte non riesce più a fermarsi»
Leonetta Bentivoglio
«Wilkie Collins è famoso, nei manuali di letteratura, per avere scritto nel 1868 il primo giallo. Ma non eccelle solo nella suspense. È anche uno scrittore di sentimenti. Ed eccelle nella pittura dei personaggi».
Antonio D’Orrico

Buongiorno a tutti cari lettori, finalmente ritorno con una recensione. Vi dico fin da subito che per il primo del mese salterà la CineRecensione e il motivo è semplice: di film ne ho visti, ma nessuno che mi ispirasse un intero articolo o delle particolari riflessioni. Quindi, appuntamento al 15 con la nostra chiacchierata cinematografica.

Altra informazione di servizio. Purtroppo, a causa di un imprevisto, mi ritrovo parecchio impegnata la sera (momento in cui mi dedico al blog). La situazione non promette di sistemarsi, motivo per cui ultimamente il blog ha stentato un po' ad andare avanti (in generale, non si può dire che sia un momento vitale per il mio Labirinto). Come ogni volta, mi riprometto di impegnarmi maggiormente, e lo vorrei davvero, ma ho paura di non riuscire a mantenere questo mio proposito. Motivo per cui mi limito a rassicurarvi che no, non ho intenzione di sparire. Cercherò di impegnarmi il più possibile ma non vi posso garantire nulla.
Concluse le faccende meno simpatiche, eccovi la mia recensione.
Wilkie Collins per me è una garanzia. Ho cominciato con La donna in bianco e me ne sono innamorata pazzamente (anche grazie alle meravigliose cover della Fazi, che sono una gioia per gli occhi). Ogni volta che questa interessantissima casa editrice ci propone un nuovo lavoro di Wilkie Collins, io l'acquisto subito. E così ho fatto anche con La legge e la signora. Però l'ho lasciato sullo scaffale per mesi (nulla di nuovo insommaxD), finchè non ho scoperto che la ripubblicazione di Basil è imminente (*-*) e ho sentito la necessità di leggere questo volume.
Come forse ricorderete, quello che è considerato il capolavoro di Collins (La pietra di Luna) mi aveva un po' delusa, forse per le aspettative troppo alte. Ecco, questo nuovo titolo su cui non avevo mai letto nulla di particolare, invece, mi ha completamente stregata, scalando rapido la classifica e piazzandosi subito sotto la fenomenale accoppiata La donna in bianco/Armadale.
Ancora una volta ci troviamo davanti a un mistery e l'ambientazione è sempre un'Inghilterra un po' gotica. Valeria, fresca sposa di Eustace, si ritrova a dover scavare nel passato di suo marito e, in seguito a una sconvolgente scoperta, dovrà mettersi in gioco per chiarire ciò che vi è di irrisolto, pena l'infelicità.
Vorrei provare ad essere il più concisa possibile, per non annoiarvi troppo.
Ad avermi colpita  in modo particolare in questo romanzo sono alcuni aspetti.
Innanzitutto, la protagonista. 
Wilkie Collins ci delizia sempre con personaggi femminili assolutamente originali e, soprattutto, degni di nota. Davanti al mistero Valeria non si tira indietro; davanti a scoperte inimmaginabili non si perde d'animo; davanti a sfide che hanno sconfitto uomini (in un periodo dove le donne avevano l'unico ruolo di essere belle) lei persevera e porta alla luce la verità. In questa sua impresa si incontra e scontra con vari personaggi, ma uno in particolare è riuscito a spiccare fra tutti e a conquistarsi, nonostante tutto, la mia simpatia: Miserrimus Dexter, mezzo uomo e mezzo macchina - com'è descritto -, nato privo delle gambe. Personaggio assolutamente sopra le righe, talvolta animalesco, talvolta femmineo; scaltro, magnetico, folle. Nel libro la sua è una personalità ambigua che si protende e oscura tutta la seconda metà della narrazione e Valeria dovrà fronteggiare questa presenza tentacolare e inafferrabile. Preda lei stessa di sentimenti contrastanti (da una parte prova repulsione, dall'altra un'istintiva simpatia e compassione), Valeria cambia continuamente idea su di lui, ma non può non rimanerne affascinata e, talvolta, quasi soggiogata. Che differenza - mio parere - con l'insipido marito!
Ebbene si, nonostante Valeria lo ami alla follia (e quante volte rende partecipe il lettore della sua totale devozione a Eustace!), Eustace è noioso a essere gentili. Ciò che emerge dal suo passato, sebbene non smuova Valeria di un millimetro, l'addolora comunque. E il lettore stesso, nonostante Valeria cerchi di addolcire la pillola, non potrà più leggere di Eustace con gli stessi occhi. A mio parere si è trattato di un personaggio odioso, l'eroe imposto quando sbiadisce alla sola ombra dei veri protagonisti: l'intraprendente Valeria e il magnetico Miserrimus.
Ciò che più mi è piaciuto di Valeria è che - nonostante qualche commentino un po' sessista lanciato da Wilkie - è assolutamente moderna. Sfida le convinzioni e si mette contro gli amici (addirittura contro il marito!) per portare a termine l'obiettivo che si è preposta. E se inizialmente è solo in funzione di Eustace che si imbarca in questa impresa, con il passare del tempo le cose cambiano: non è più solo per Eustace, è per lei stessa. La sua diventa una sfida al mondo e a sè stessa: dimostrare che ce l'ha fatta, nonostante tutto e tutti. E per portare fino in fondo la sua decisione, si espone a critiche feroci e a offensive incredulità. Mi è piaciuta l'ostinazione di Valeria e anche il suo buon cuore, perchè sotto quella sostenutezza tipica degli inglesi c'è un animo sensibile, come si dimostra nei suoi rapporti con Dexter.
Con Dexter Collins affronta una tematica molto importante: quella della disabilità. Come dicevo, Dexter è nato senza gambe e da sempre pende sulla sua testa la minaccia della follia. Il suo temperamento instabile è destinato a naufragare, prima o poi, nel delirio. Ora, bisogna tener conto del periodo in cui è stato scritto il romanzo, ovviamente. Dexter è definito a più riprese mostruoso, ma credo che la vera deformità che colpisce i personaggi sia quella della mente, più che quella del corpo. Il carattere sopra alle righe di Dexter, infatti, se da un lato può rivelarsi ammaliante, è comunque molto inquietante, perfino un po' spaventoso. Se nella vita dovessi trovarmi davanti un uomo del genere, non so come reagirei. Lo stesso accade nel romanzo, dove i personaggi si sentono minacciati dall'instabilità di Dexter e si irrigidiscono di conseguenza.
Sullo stile di Wilkie Collins non c'è molto da dire. Le sue erano narrazioni un po' noir, gotiche, intrecciate con il mistery e, spesso e volentieri, con la superstizione: sogni premonitori, segni nefasti. Nei suoi libri espedienti simili sono all'ordine del giorno, e mi rendo conto che potrebbero non piacere a tutti. Io le apprezzo (tanto più che mi ricorda le mie amate sorelle Bronte*-*), trovo che diano quel tocco di esotismo alla narrazione.
La legge e la signora - come La pietra di Luna - è un romanzo che si occupa soprattutto della parte propriamente di indagine, tralasciando altri argomenti più sociali e che nei suoi romanzi - con uno sviluppo più o meno importante - troviamo sempre. La prossima pubblicazione, Basil, mi sembrerebbe più improntato, invece, su tematiche meno "di genere", diciamo. Vi saprò dire sicuramente, perchè io per ora ho amato ogni suo lavoro e non vedo l'ora di acquistare anche il prossimo.

Virginia

mercoledì 22 marzo 2017

Recensione: Steelheart di Brandon Sanderson

Titolo: Steelheart (The Reckoners#1)
Autore: Brandon Sanderson
Traduttore: Gabriele Giorgi
Casa editrice: Fanucci
Numero di pagine: 381
Formato: Digitale


David è solo un bambino quando l'oscurità perpetua cala sulla Terra e in cielo compare Calamity, una misteriosa stella che dona a uomini e donne, prima di allora intrappolati nelle loro ordinarie esistenze, poteri fuori dal comune. Questi esseri straordinari vengono ribattezzati con il nome di Epici e ben presto il loro dono li rende avidi di supremazia sugli altri uomini. Due anni più tardi, a Newcago, la città che una volta era stata Chicago, David assiste all'assassinio di suo padre da parte di uno degli Epici più potenti, Steelheart. Ora cerca vendetta, e sa che l'unico modo per ottenerla è entrare a far parte degli Eliminatori, un'organizzazione che agisce nell'ombra, studiando le debolezze degli Epici e combattendoli strenuamente. E nonostante tutti pensino che Steelheart, cuore d'acciaio, sia invincibile, David sa che non è così, perché lo ha visto sanguinare con i propri occhi.


"Uccidevano perchè Calamity - per qualche ragione ignota - sceglieva solo persone orrende per ottenere i poteri? Oppure uccidevano perchè un potere tanto formidabile corrompeva una persona e la rendeva irresponsabile?"

Chi sono gli Epici, da dove vengono i loro poteri? Perchè Calamity ha scelto proprio loro? Ma, soprattutto, cos'è davvero Calamity?
Questo libro è un concentrato di domande e, alla fine, ancora non abbiamo risposte chiare. Non che David, il protagonista, abbia tempo da perdere su interrogativi che, almeno per il momento, non ha modo di sciogliere. No, lui ha un obiettivo, una missione su cui si consuma, in solitudine, da anni: uccidere Steelheart, il potentissimo Epico che, ormai una decina di anni prima, ha rivendicato come sua la città di Chicago - ora Newcago -, trasformandola in una distesa d'acciaio e oscurità. Nel corso di quella giornata campale che ha sancito la sua presa di potere, ha innescato un processo che si dimostrerà pericolosissimo per lui: ha ucciso il padre di David, ma non si è assicurato che, in quella banca, fossero davvero morti tutti. Perchè David ha visto il proiettile del padre ferire Steelheart, l'ha visto sanguinare, e ora sa che non è indistruttibile, che - come tutti gli Epici - anche lui ha un punto debole potenzialmente mortale. E, dopo l'omicidio a sangue freddo del genitore avvenuto davanti ai suoi occhi, ha un solo proposito: farlo sanguinare di nuovo.
Per farlo, ha bisogno di raccogliere ogni informazione possibile sugli Epici - un lavoro di attenta e minuziosa ricerca che gli prende 10 anni e pile di fogli e quaderni di appunti - e, poi, dell'aiuto degli Eliminatori.
Gli Eliminatori sono ciò che rimane della ribellione umana. Su una Terra sconvolta dalle lotte fra Epici, dilaniata dai loro portentosi poteri, non c'è più spazio per gli umani, se non come sudditi da governare, come formiche da schiacciare. In una Terra dove ormai la maggior parte degli uomini si è piegata alla superiorità degli Epici, gli Eliminatori combattono ancora, e girano di città in città uccidendo quanti più Epici possibile.

" << Noi vogliamo che siano gli altri a controbattere. Vogliamo ispirarli. Ma non osiamo prendere quel potere per noi stessi. E questo è quanto. Siamo assassini. Detronizzeremo Steelheart e troveremo un modo per strappargli il cuore dal petto. Dopodichè, che sia qualcun'altro a decidere cosa fare della città. Io non voglio farne parte. >> "

Nonostante sia un romanzo rivolto soprattutto a una fascia adolescenziale, il libro non è comunque privo di interessanti spunti di riflessione (che, comunque, saranno sviluppati coerentemente al target cui l'opera è rivolta). 
Steelheart è davvero una figura totalmente negativa? Moltissimi umani hanno trovato a Newcago quantomeno una stabilità se confrontata ad altre zone dell'America, dove non c'è un'unica figura di potere ma gli Epici al comando si susseguono, lottando fra di loro di continuo e devastando tutto. In quest'ottica Steelheart è riuscito a garantire una coerenza di fondo e molti servizi - come l'elettricità - assenti in altri luoghi sono qui disponibili. Il dubbio che viene instillato in David è: cosa accadrà, una volta ucciso Steelheart? Davvero è l'azione migliore, la più saggia? O, semplicemente, bisognerebbe rassegnarsi e prendere atto che, ormai, la situazione è cambiata, che il mondo non è più quello di prima?
Questo è uno dei fulcri tematici del romanzo, insieme a un'altra riflessione, che ho trovato davvero interessante. Gli Eliminatori sono dei ribelli che combattono per la libertà o dei volgari terroristi? Si battono usando la violenza - sebbene sempre cercando di tenerne fuori le persone innocenti - per ristabilire una realtà ormai apparentemente tramontata, mentre la stragrande maggioranza degli uomini si è ormai adattata alla nuova situazione. È giusto?
A queste domande, infine, darà risposta Prof, il capo degli Eliminatori e uno dei personaggi più interessanti del libro: è giusto battersi per la libertà, è giusto opporsi a un nuovo modo di pensare che porti a considerare la dittatura di Steelheart accettabile, se paragonata ad altre realtà. Perchè non è accettabile, non può essere accettabile una vita da schiavi, nel buio e nella paura.

" << Non puoi avere così paura di cosa potrebbe accadere da non essere disposto ad agire. >> "

Come dicevo, nonostante alcuni spunti è comunque una storia rivolta a un target giovane. E tale ne è, giustamente, lo sviluppo. Questo ci porta ad avere tra le mani un prodotto fresco, scorrevolissimo e anche divertente. L'azione non manca, anzi, è un libro che vedrei davvero bene al cinema - come tutti i libri di Sanderson, del resto. Abbiamo missioni segrete e pericolosissime, fughe rocambolesche, piani audaci, tradimenti e pure un po' di romance. A questo si aggiunga lo stile di Sanderson, che è pulito e scorrevole. I personaggi sono tutti ben caratterizzati e danno spesso luogo a divertenti siparietti.
Lo trovo un ottimo per una trilogia che unisce l'effervescente fantasia tipica di Sanderson (cosa succederebbe se i supereroi fossero i cattivi?) con il suo solito stile accattivante. Inutile dire che lo consiglio moltissimo e che non vedo l'ora di proseguire con i prossimi volumi.

Virginia

sabato 18 marzo 2017

Recensione: Notre-Dame de Paris di Victor Hugo

Titolo: Notre-Dame de Paris
Autore: Victor Hugo
Traduttore: Luigi Galeazzo Tenconi
Casa editrice: Bur
Numero di pagine: 537
Formato: Cartaceo

Esmeralda, una giovane zingara di grande avvenenza, è solita danzare sul sagrato della chiesa di Notre-Dame, cuore della Parigi medievale. L'arcidiacono Frollo è attratto dalla giovane donna e, pur fra sentimenti contraddittori, cerca di farla rapire dal campanaro Quasimodo, un essere deforme fino alla mostruosità. Ma il capitano Phoebus de Châteaupers la trae in salvo e conquista il suo amore. Una vicenda melodrammatica, tetra, grottesca, che ha commosso lettori di tutti i tempi e spesso ispirato il mondo del cinema.

A 10 anni dalla prima (disastrosa) lettura, sono tornata a visitare la Parigi del 1482 e la meravigliosa Notre-Dame. Mi aspettavo una lettura complessa e difficile, resa meno agile soprattutto dallo stile di Hugo, dal suo ricco periodare, dal suo amore per la divagazione.
Certamente Hugo si riconferma un autore ingombrante. La sua voce permea tutta la narrazione e non ci permette mai di dimenticare che questa triste storia ci viene narrata per mezzo di un messaggero: lui stesso.
Ora, molti di voi conosceranno questo capolavoro della letteratura grazie alla versione cartone della Disney. Io in primis, al mio primo approccio, constatai con una certa sorpresa che, se i nomi erano familiari, molto di meno lo erano le vicende. Certo, rimane una base: una zingara, un soldato, un prete e un campanaro. A cambiare è tutto il resto, comprese le dinamiche fra alcuni di loro.



"Trecentoquarantotto anni, sei mesi e diciannove giorni or sono i parigini si svegliarono allo squillo di tutte le campane, che suonavano a distesa nella triplice cerchia della Città Vecchia, dell'Università e della Città.
Eppure, il 6 gennaio 1482 non è affatto un giorno di cui la storia abbia serbato ricordo."

Comincia con questa data quello che è, a tutti gli effetti, un romanzo storico. Quel giorno a Parigi non si festeggia solo l'Epifania ma, ancora più importante, è il giorno della Festa dei Folli: un giorno di pazzie e stravaganze per il popolo.
Nel giro di qualche capitolo, i personaggi principali vengono posti sulla scena dall'autore. Quella, però, che folgora tutti, dai personaggi di finzione allo stesso lettore, è lei: l'Esmeralda.

"Non era alta di statura, ma lo sembrava, tanto la sua vita era snella e slanciata. Era bruna di carnagione, ma si indovinava che la sua pelle, di giorno, doveva avere il bel riflesso dorato delle andaluse o delle romane. Anche il suo piedino era andaluso, poichè era stretto e al tempo stesso a suo agio nella graziosa calzatura. Ballava, girava su sè stessa, vorticava su un vecchio tappeto persiano negligentemente disteso sotto i piedi; e ogni volta che, girando, lo splendido suo visino vi passava innanzi, i suoi grandi occhi neri vi gettavano un lampo.
Attorno a lei tutti gli sguardi erano fissi, tutte le bocche spalancate. E infatti, mentre ella così danzava, al suono del tamburello basco che le sue braccia, pure e ben tornite, sollevavano sopra la testa esile, fragile e vispa come un'ape, con il corsetto d'oro senza pieghe, la gonna variopinta che le si gonfiava attorno, le spalle nude, le gambe fini, che la gonna, tratto tratto, scopriva, i capelli neri, gli occhi di fiamma, era una creatura soprannaturale."

Fin dall'inizio Esmeralda appare esotica, impalpabile, ultraterrena. La sua bellezza sensuale - ancor più intensa perchè unita alla giovinezza e all'innocenza - incanta non solo il poeta Pierre Gringoire, ma anche uno strano, inquietante figuro in cui il lettore riconoscerà presto Claude Frollo.
L'arcidiacono di Notre-Dame è uno dei protagonisti di questo romanzo, una figura tragica, meschina, crudele di volta in volta. Ma, se volessimo usare lo stesso linguaggio di Hugo, potremmo definirlo fatale.
Come ci dice lo stesso scrittore nell'Avvertenza a inizio libro, tutta la vicenda si plasma sulla parola Ananche da lui ritrovata un giorno nei recessi oscuri di Notre-Dame, scolpita nel muro di una delle sue torri. Questa parola appartiene al lessico della tragedia greca e in italiano è tradotta come "fatalità", "necessità".
La Fatalità regna incontrastata nella Parigi di Hugo, dove nulla avviene per caso e ogni evento che si compie sfugge all'umano arbitrio, fino ad assurgere ad una crudele e impietosa Necessità.
L'attrazione che Esmeralda esercita su Frollo è dunque "orchestrata" dalla Fatalità. E così alla gioventù e alla spontaneità della zingara si oppone l'arcidiacono, già vecchio a 35 anni, uomo incatenato al suo ruolo di religioso da decenni e che per anni ha trovato una ragione per vivere solo nello studio e nella dedizione al dovere. Un uomo che ha però una grandissima fame d'amore, che inizialmente trova sfogo nell'accudire il fratello Jeahan, di molto più giovane e rimasto orfano da neonato. Per lui deciderà di adottare un bambino orribile e deforme abbandonato davanti alla cattedrale e destinato dal volere pubblico alla morte.
Nel momento in cui vede Esmeralda, il delicato equilibrio instauratosi fra il dovere e la passione si spezza, precipitando l'arcidiacono in un vero e proprio furor amoroso.




Quella di Frollo è una follia amorosa che sconvolge i sensi. Tutto quanto vi è di buono in lui viene spazzato via da una passione soverchiante, totalizzante.

Un altro personaggio importantissimo - ma totalmente travisato nella versione Disney - è Quasimodo, il gobbo, il campanaro di Notre-Dame. La sua è una vicenda tristissima a cui Hugo concede solo uno spazio limitato.



Che dire di Quasimodo, che è guercio, gobbo, zoppo e sordo? Che è stato abbandonato dai genitori, odiato fin dalla nascita? La cattiveria degli altri lo ha incattivito, la sua solitudine lo ha reso selvatico. Neanche la bellezza e la grazia di Esmeralda lo toccano. Il momento in cui il suo cuore indurito viene scalfito è quando la zingara, presa a compassione, gli porta da bere mentre è sulla ruota. La portata del gesto, per Quasimodo, è epocale. Prima di lei, solo un altro essere vivente gli aveva mostrato pietà: Frollo, che lui ama come un cane ama il padrone.
Le dinamiche fra Quasimodo ed Esmeralda diventano il simbolo dell'eterna dialettica fra il brutto e il bello, qui portato quasi a uno stato ideale: la Bellezza e il Grottesco. Hugo, però, ribalta l'ideologia di stampo greco del "kalòs kai agathòs" ("bello e buono"), che vede una corrispondenza fra la bellezza esteriore e quella interiore. Disconosce questa corrente di pensiero nel momento in cui mette in scena Phoebus e lo mette in comparazione con Quasimodo.
Phoebus è il personaggio più negativo di tutto il romanzo. Hugo si accanisce su di lui e disegna un uomo stupido, superficiale e crudele (una crudeltà data dall'indifferenza). Ovviamente, è il personaggio a cui le cose vanno meglio, perchè la stupidità spesso si accompagna a una sua ebete forma di felicità.
Quasimodo, invece, che è orrendo fuori, è anche sincero e devoto nel suo amore e si sacrifica senza nulla chiedere in cambio, senza aspettarsi nulla.



Tre sono i personaggi femminili rilevanti nel romanzo: Esmeralda, Fiordaliso e Gudule. La terza, sebbene si leghi a tutto un filone di trama piuttosto importante, non è nota; Fiordaliso compare almeno nello spettacolo teatrale.
Ora, Esmeralda ve l'ho già presentata, ma approfondiamo ulteriormente.
Ci viene delineata come una bimba, una bimba inconsapevole della propria carica di sensualità. È bella ma ancora acerba, e il suo amore ha il candore e l'assolutezza della prima passione. Sempre accompagnata dall'adorabile capretta Djali, canta e danza, e quando è contrariata le compare sul viso un piccolo broncio. Non è una femme fatale: con Phoebus è impacciata e timida, e fin troppo sincera. Semplicissimo, per Phoebus, ingannarla; semplicissimo, per lei, perdersi per amore.
Fiordaliso è in tutto opposta a Esmeralda: una bionda e l'altra è bruna; una è nobile e l'altra è zingara; una è ricca e l'altra chiede l'elemosina ballando nelle strade. Unico anello di congiunzione è l'amore - in entrambi i casi non ricambiato - per Phoebus. Ma se una è la fidanzata, l'altra è l'amante.
Alla fine, anche per Fiordaliso - che pure non trascura di abbandonarsi a qualche meschinità - il lettore prova una certa compassione. Cieca per amore e gelosa, il suo ruolo nella storia è quello di infelice comparsa. Il futuro che le si prospetta - la disillusione, il dolore, l'amarezza, la rassegnazione - è ancora più triste.
Infine, Gudule, la reclusa. Incatenata da 15 anni al Buco dei Topi, protagonista di una storia straziante (che ricorda un po' quella della Fantine de I miserabili), il lettore assiste alla sua cattiveria, al suo dolore, alla sua disperazione.

Questi sono i personaggi principali del dramma. Ad essi Hugo affianca tutta una serie di tematiche che percorrono tutto il romanzo, intrecciandosi fra di loro. 
Ho già parlato di quella principale, che fa da motore a tutta la vicenda: l'inesorabile Ananche.
Un altro dei temi che ricorre in tutto il romanzo è quello della scrittura.
L'architettura è stata per secoli la principale forma di comunicazione. Partita come goffi sgorbi pietrosi, si è affinata e trasformata, fino ad arrivare alla magnificenza delle cattedrali, di Notre-Dame. Laddove la parola scritta era rara, costosa e fragile, la pietra è stata il maggior legame fra l'uomo e il divino. A un certo punto si assiste, però, a una trasformazione. A Gutenberg viene inventata la stampa e sarà proprio Frollo, simbolo della religiosità e della cultura (allora strettamente legate) a intuire come il libro sarà la morte della pietra.



Uno dei grandi paradossi del romanzo (e del Medioevo tutto) è la convivenza della magnificenza e dell'ignoranza, del sublime con il sudicio. In quei secoli di cattedrali e filosofia, nello stesso consesso di maggior cultura (la Chiesa), convivono una profonda scienza e un duro sostrato di superstizione. Lo possiamo vedere sempre nel personaggio di Frollo, che ci viene presentato come un grande dotto, che conosce il latino, il greco e l'ebraico; che ha studiato la filosofia, la medicina, la teologia. Eppure, come impiega la sua profonda conoscenza questo grande saggio? Tenta di trasformare il piombo in oro, rinnegando ogni studio che non sia quello dell'alchimia.
Nella stessa giurisdizione del tempo troviamo casi che già ai tempi di Victor Hugo fanno sbarrare gli occhi per l'incredulità: in vari casi giudiziari di accusa di stregoneria, oltre alla strega viene messo a morte anche il suo animale domestico (non prima di avergli richiesto una confessione, certo), accusato di essere posseduto dal demonio.
Ma le contraddizioni di quest'epoca ormai tanto lontana non sono finite. Come spiegare, solo a Parigi, la convivenza di innumerevoli patiboli e altrettanti luoghi dove è possibile ricevere asilo, e alla legge umana non è consentito accedere? Come dice lo stesso Hugo, è come se le une volessero porre rimedio alle altre, e viceversa.
Il Medioevo che dipinge Hugo, insomma, è un coacervo di contraddizioni; la sua Parigi è un ribollire di controsensi, di varia umanità, di tensioni religiose, politiche e sociali. 
E in uno dei capitoli finali dell'opera Hugo non risparmia una feroce critica alla monarchia, e una predizione: un giorno il popolo si leverà, e allora ci sarà la Rivoluzione.
Come si è intuito, ho amato moltissimo questo romanzo. Per concludere, vi lascio la canzone più bella del musical, sperando che la colonna sonora che ho scelto per voi vi abbia finora piacevolmente accompagnato (e magari convinto a dare un'opportunità allo spettacolo teatrale, se non al libro):)





Virginia









mercoledì 15 marzo 2017

CineRecensione#5: Chronicle

Anno: 2012
Pellicola: Colore
Durata: 88 min
Regia: Josh Trank

In seguito alla casuale esposizione a quelle che sembrano radiazioni provenienti da un blocco di cristallo trovato in un buco nel terreno, Andrew, Matt e Steve scoprono di aver acquistato poteri telecinetici. Possono muovere piccoli oggetti, creare campi di forza intorno a sé che li proteggono e anche volare. Più si esercitano, più diventano abili e potenti.
Dei tre però, quello che sembra essere il più potente è anche il più instabile, ovvero Andrew, che a differenza dei due compagni di telecinesi non è inserito ma anzi è continuamente vessato dalla vita e pronto al delirio d'onnipotenza. L'esperienza che aveva avvicinato i tre comincia quindi a dividerli per il progressivo crescere dentro Andrew del disprezzo per qualsiasi etica, accompagnato da manie di grandezza, fino all'inevitabile manifestazione pubblica dei poteri e confronto a campo aperto.


Carissimi lettori eccomi qui! Non sono scomparsa, ho solo perso un po' il senso del tempo. I giorni si susseguono, sempre uguali e pieni di impegni, e con la mia disponibilità "a singhiozzo" di un computer con internet diventa difficile gestire il blog. Ma tengo duro e sono qui, oggi, per la nostra quinta CineRecensione (e per dirvi di rimanere collegati, a brevissimo anche una nuova recensione librosa su questi schermi;)).
Il film di cui vi parlo oggi è stranissimo. Entrato in casa anni fa quasi di soppiatto, lo odiai e non lo rividi più, finchè questo weekend - complice una grande delusione - non mi sono ritrovata alla ricerca disperata di qualcosa di nuovo da vedere. E la mia scelta è ricaduta su questo particolarissimo Chronicle.
Si tratta di una produzione sicuramente atipica e, almeno a mio parere, non del tutto riuscita.
Fin dalla scelta di narrare gli eventi attraverso gli occhi di una onnipresente telecamera, trucco già visto sugli schermi che, però, non mi fa impazzire (opinione personale).


Un giorno Andrew decide di prendere una telecamera e filmare tutto.
È solo, vessato, ferocemente chiuso. Sua madre sta morendo; suo padre è sempre ubriaco e violento; i soldi non bastano per pagare le medicine della madre; a scuola è vittima di bullismo pesante, così come nel suo quartiere; non ha amici se non un cugino, Matt, che gli parla solo per pietà e in nome della loro parentela; non ha mai avuto una ragazza.
Un giorno prende una telecamera e comincia a filmare la sua vita. La sua voce, fuori campo, ci introduce nel suo mondo e le immagini completano i suoi eloquenti silenzi.
Andrew è schiacciato dal mondo, rintanato in sè stesso. Dà l'idea di un'infelicità profonda e soffocante che gli pesi sulle spalle. La schiena è un po' curva, gli occhi rivolti a terra, nel tentativo di non attirare l'attenzione di nessuno. La telecamera è la maschera con la quale, all'improvviso, sente di poter affrontare il mondo. E che importa se gli altri lo trovano strano o inquietante? Come se già non lo prendessero di mira abbastanza...
A rompere questa annichilente realtà ci pensano Matt, un amico di Matt (Steve) e una strana meteora precipitata dal cielo una notte che stanno partecipando a una festa.
La tematica dei supereroi è abusata. Trank ha ripreso la materia e ne ha fatto qualcosa di nuovo. A partire dal suo angosciato protagonista, figlio di questi nostri anni feroci e soli. 

"Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità."

Questa frase la conoscete tutti. Si tratta di Spiderman, dove la lotta fra desiderio e dovere che si accende nell'anima di Peter porta a una tragica conseguenza. Ancor più combattuta è la battaglia di Andrew. Quello che è partito come un gioco diventa qualcosa di più grande e serio nel momento in cui si rende conto che può avere un effettivo impatto sulla sua vita. Per un caso incredibile - e inspiegabile, perchè tale rimarrà - lui, Matt e Steve si ritrovano in possesso di straordinari poteri. Una volta superato lo stupore iniziale; una volta fatti i primi tentativi, i primi scherzi; una volta rotto il ghiaccio, insomma, che farsene, di queste capacità?
L'evoluzione del personaggio di Andrew è tragicamente prevedibile. E non nega la responsabilità di nessuno. Ho sempre creduto che i "mostri" siano un frutto soprattutto della società. Siamo abbandonati a noi stessi, e i più fragili sono quelli su cui si infierisce di più. Ma nel momento in cui il destino trasforma il debole in forte, che succede?


I personaggi sono pochi, le inquadrature scure e claustrofobiche, alcune scene un po' pesanti. Questo non è un film classico sui supereroi ma un ibrido che mescola argomenti tipici del genere con altri che ritroviamo sui giornali tutti i giorni. In quest'ottica, Andrew non è l'antagonista ma la vittima che si fa carnefice, in un certo senso restituendo solo quello che ha conosciuto. E non bastano quegli scampoli di affetto che gli mostrano Matt e Steve, perchè è troppo poco e troppo tardi.
Allo stesso tempo, se si comprende Andrew è anche vero che lo spettatore non può assolverlo a cuor leggero. Ancora una volta la violenza è la risposta alla violenza e non so quanto questo possa essere giusto, a cosa possa portare di positivo. Certo Andrew ha iniziato a fare ciò che avrei fatto anch'io al suo posto: utilizzare i poteri nella vita di tutti i giorni, sfruttare un nuovo punto di forza per ribaltare le carte in tavola. Certo è una visione del mondo cruda e quasi animalesca, dove a vincere è il più forte. Ma è solo ciò che gli è stato insegnato.
Gli altri personaggi non sono altrettanto interessanti.
Matt, il cugino, è un ragazzo un po' stereotipato. Al mondo mostra l'aspetto più scanzonato, a casa legge libri di filosofia. Nulla di nuovo sotto il sole o, comunque, nulla che mi colpisca in modo particolare.
Il personaggio di Steve è poco chiaro. Sembra un po' la spalla comica/amicone, ma con punte di sensibilità inaspettate. Ancora, nulla di nuovo. L'ho trovato un personaggio abbastanza piatto, concepito fin dall'inizio per un ruolo ben preciso.
L'unico personaggio femminile che agisce attivamente nella storia è Casey che, come da manuale, si rivela utile solo nella storia d'amore. Per il resto è quasi inesistente e ha attirato la mia attenzione solo perchè ha un blog (non di libri purtroppoxD) ed è sempre piacevole trovare sprazzi di nerdaggine un po' ovunque.
Il mio più grande punto di domanda è stato il finale. Non mi ha convinta per nulla, anzi, ho trovato che facesse scadere tutto un film che, comunque, si era rivelato più interessante del previsto.
Avete mai visto questa pellicola? Se si, cosa ne pensate?

Virginia






lunedì 6 marzo 2017

Recensione: Red Rising - Il canto proibito di Pierce Brown

Titolo: Red Rising - Il canto proibito
Autore: Pierce Brown
Traduttore: Edoardo Rialti
Casa editrice: Mondadori
Numero di pagine: 402
Formato: Cartaceo

"Scritto in modo splendido, un libro che non puoi abbandonare un secondo." Terry Brooks "Pierce Brown è un prodigio. 'Red Rising' cresce irresistibilmente in bellezza e drammaticità." Christopher Golden "Una storia che non perde un colpo, fino alla rivelazione finale." Publishers Weekly "Dopo Ender, dopo Katniss, un nuovo fantastico eroe: Darrow." Scott Sigler Darrow ha sedici anni, vive su Marte ed è uno dei Rossi. La casta più bassa, minatori condannati a scavare nelle profondità del pianeta a temperature intollerabili, rischiando ogni giorno la propria vita. Ma Darrow sa di farlo per rendere abitabile la superficie di Marte, per dare una terra alle nuove generazioni. E a ripagarlo dei sacrifici c'è l'amore per Eo, bellissima e idealista. Finché un giorno i due innamorati sono sorpresi a baciarsi in un luogo dove non avrebbero dovuto, sono processati e condannati da un giudice appartenente alla casta degli Oro, la classe dominante. E mentre Eo riceve le frustate di punizione, la sua voce si scioglie in un canto dolcissimo, un canto proibito di rivolta e speranza, lo stesso canto che era costato la vita al padre di Darrow. E ora costerà la vita a Eo. Così inizia "Red Rising", paragonato immediatamente alle massime espressioni del romanzo fantasy contemporaneo. Apprezzato con slancio dai lettori, oggi "Red Rising" ha conquistato i primi posti nelle classifiche del "New York Times" e il suo fascino drammatico e avventuroso ha convinto il regista Marc Forster (World War Z, 2013) a girarne la versione cinematografica (Universal Pictures). Accanto ai grandi nomi di George R.R. Martin, Suzanne Collins e Joe Abercrombie, Pierce Brown ha firmato una saga appassionante, un debutto difficile da dimenticare.

Buongiorno lettori e buon inizio settimana:) Io ho passato un weekend di fuoco e non particolarmente felice, però per fortuna avevo una bella lettura a farmi compagnia. E di questa lettura non posso che ringraziare Autumn di L'ennesimo Book Blog, che mi ha letteralmente martellata (scherzoxD) finchè non ho ceduto e non ho letto il mio primo distopico.
Lo ammetto subito, non sono amante del genere: non mi attira troppo, non mi ispira. Però Autumn si sta impegnando per farmi cambiare idea e l'inizio è stato abbastanza promettente da farmi davvero considerare di aprirmi a questo genere.
Altra premessa. Questo libro, pur essendo un distopico a tutti gli effetti, ha comunque molto anche del fantasy, motivo in più per farmelo apprezzare:)
Fatte le dovute presentazioni, eccovi la mia opinione.

Darrow ha sedici anni ed è un Rosso. Lui e la sua casta sono pionieri su Marte addetti a un'importantissima funzione: estrarre dalle viscere del pianeta, nel buio e negli stenti, ciò che serve per terraformare (come dicono loro) il pianeta e renderlo abitabile dagli altri Colori, più "molli", come vengono definiti dalla propaganda.
Cresciuti in condizioni di vita durissime, i Rossi si sacrificano per abitudine e per stanchezza, avvezzi ormai a questa vita e schiavi della broda, la sostanza alcolica che addolcisce le loro catene.
Unica fra tutti, la bellissima Eo (moglie di Darrow) sogna qualcosa di più. E sarà la sua morte, l'ingiustizia della sentenza, la crudeltà dell'Oro chiamato a presenziare, a indurire il cuore di Darrow e a fargli scegliere di sposare infine il sogno di Eo: lottare per un mondo migliore.


" << Io vivo il sogno che i miei figli potranno un giorno essere liberi.>>
<< Io vivo per te >> le rispondo con tristezza.
<< Tu devi vivere per qualcosa di più. >> "

La Società disegnata da Brown è crudele. Si fonda sulla sopraffazione, sull'inganno, sul potere. Gli Oro sono esseri fisicamente superiori che sono riusciti a conquistare con la forza il dominio su tutti gli altri Colori; per poterlo mantenere e non passare alla fase della Decadenza (la parabola della Società, secondo gli Oro, conosce tre passaggi: Ferocia, Ascesa e Decadenza), i giovani più meritevoli vengono ammessi all'Istituto, dove prove durissime li avvieranno al potere, secondo la scala meritocratica su cui è plasmata la casta degli Oro.
O almeno, così dicono.
Nel corso della mia lettura, ho potuto dividere nettamente il libro in due parti: una prima, intrigante ma con alcuni punti deboli, e una seconda, che mi ha tenuta inchiodata alle pagine finchè non ho chiuso il romanzo. 
Partiamo dalla prima parte, che arriva a comprendere anche i primi eventi all'Istituto. A non convincermi pienamente sono stati soprattutto due aspetti. Innanzitutto, ho avuto l'impressione che tutto corresse un po' troppo. Gli avvenimenti si susseguono e, se la velocità è comunque una caratteristica di tutto il romanzo, penalizza la trama solo agli inizi, a mio parere. Abbiamo pochissimo tempo per ambientarci fra i Rossi e iniziare a capire determinate dinamiche che, all'improvviso, tutto precipita. Questa velocità arriva a coinvolgere anche i sentimenti e le decisioni del protagonista, che attraversa le fasi di disperazione, rabbia e accettazione di un nuovo compito e un nuovo modo di concepire il mondo nel giro di poche e rapide pagine. Come lettrice ho fatto un po' fatica ad assimilare i cambiamenti intervenuti in lui, perchè secondo me sono stati troppo profondi e vasti per essere riassunti in così poco spazio.
Il secondo punto riguarda il rapporto di Darrow con i Rossi e gli Oro. Secondo me l'odio che prova per gli Oro viene dimenticato un po' troppo presto, mentre il ricordo dei Rossi e della sua famiglia (di Eo) svanisce un po' troppo presto. Certo, la situazione è critica a dir poco, ma rimango comunque molto dubbiosa.
Ecco, mi sono tolta il pensiero. Ora possiamo passare alla seconda parte*-*
A un certo punto, la situazione precipita e Darrow si ritrova a dover rivedere completamente la propria posizione. La sua situazione disperata, la sua ostinazione e la sua capacità strategica riempiono tutta la seconda parte del romanzo di epicità e momenti grandiosi, fino alla decisione più estrema di tutti, quella che fa sbarrare gli occhi al lettore che, incredulo, non può che assistere ammutolito alla fase terminale del processo messo in moto dagli stessi Oro.
A rendere possibile tutto ciò sono, ovviamente, anche i personaggi. Darrow, nei primi capitoli, lo odiavo, con quella sua arroganza e la sua saccenza. Nel momento in cui cominciamo ad approfondirlo, però, me ne sono innamorata. Certo, rimane sempre un po' tracotante, ma la situazione è tale che, be', un po' ha anche ragione. E poi prende delle belle stangate, che da che mondo e mondo riescono sempre ad addolcire un po' il lettore;)
Ad affiancarlo, un paio di comprimari che non posso non nominare.
Sevro, il ragazzo-lupo, il Goblin. Mi ero aspettata un personaggio molto diverso e inizialmente mi ha spiazzata abbastanza, ma per fortuna che c'è lui a salvare le chiappe al nostro povero Darrow, che altrimenti si sarebbe spesso ritrovato nei guai. Lo stesso si può dire per la bellissima Virginia, che presta la sua notevole intelligenza alla causa di Darrow. Cassio, un po' vanesio ma buono, che mi ha spezzato il cuore.
Ma sappiate fin da subito che Brown è cattivissimo a dir poco. Ho notato molte somiglianze con Martin, quindi leggete a vostro rischio e pericolo.
Il personaggio che mi ha colpito più di tutti, però, è stato lo Sciacallo, l'antagonista della situazione. Il suo è un nome che ricorre in tutta la narrazione, come uno spettro inquietante; la sua apparizione sarà degna delle aspettative e lascia grande interesse per le vicende successive.
Che dire, dunque, di questo libro? Appassionante, avvincente, senza punti morti. La storia di Brown è stata inaspettata (mi aspettavo tutto meno una trama simile) e mi ha lasciata molto curiosa sul seguito. Ma anche, lo ammetto, molto spaventata. Alcuni grossi nodi devono ancora venire al pettine e temo che saranno piuttosto dolorosi da sciogliere (eufemismo. Credo che mi dondolerò traumatizzata in un angolo per una settimana dopo aver letto il secondoxD).
Ve lo consiglio assolutamente se volete una lettura che non vi faccia prendere fiato fino alla conclusione.

Virginia

mercoledì 1 marzo 2017

CineRecensione#4 Interstellar

Anno: 2014
Pellicola: Colore
Durata: 169 min
Regia: Christopher Nolan

In un futuro imprecisato, un drastico cambiamento climatico ha colpito duramente l'agricoltura. Un gruppo di scienziati appartenenti un tempo alla NASA, sfruttando un "wormhole" per superare le limitazioni fisiche del viaggio spaziale e coprire le immense distanze del viaggio interstellare, organizza una serie di missioni spaziali alla ricerca di un pianeta abitabile. A tal scopo convince Cooper, un ex pilota di talento, a lasciare i propri figli per imbarcarsi in una missione che ha lo scopo di salvare l'umanità.


Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria contro il morire della luce.
Dylan Thomas

Fra una cosa e l'altra, è il primo film di Nolan che recensisco qui sul blog, e l'ultimo suo che ho visto, anche se con qualche anno di ritardo.
Con questa pellicola, Nolan si riconferma assolutamente come uno dei miei registi preferiti: un visionario e una mente contorta a un tempo, che mescola sapientemente effetti speciali e rapporti umani. 
Nella trilogia di Batman (Batman Begins, Il cavaliere oscuro, Il cavaliere oscuro - Il ritorno) si concentra sul protagonista e sulla sua maturazione interiore, percorso che durerà tre film e che, in un qualche modo, dovrà concludere un cerchio prima di poter andare avanti; in Inception è l'elaborazione del lutto il tema portante, insieme al contorto subconscio umano. Qui i temi affrontati sono il rapporto padre/figlia, l'eterna tensione dell'uomo verso l'ignoto e il rapporto ambivalente con la nostra Terra, madre e matrigna.
Ma vediamo tutto un po' più nel dettaglio.
Siamo in un futuro non meglio identificato, America. La Terra è drasticamente cambiata. Una misteriosa "piaga" l'ha colpita: le colture muoiono e frequenti tempeste di sabbia impolverano il mondo, penetrando nei polmoni e rendendo sempre più difficile respirare. In questa situazione di emergenza, ogni tentativo precedente dell'uomo di espandersi nello spazio è stato abbandonato, distorto, dimenticato; dal cielo si è tornati alla terra, che si è inaridita.
In questa realtà vivono Copper, ex pilota, i suoi due figli (Tom e Murphy) e il suocero, Donald; la moglie è morta da tempo. Quando strani fenomeni iniziano ad accadere, Cooper viene coinvolto in una missione disperata e suicida organizzata da ciò che resta della NASA: una spedizione nello spazio nell'estremo tentativo di trovare un nuovo pianeta in cui poter vivere per un'umanità ormai allo stremo.


Quella di Nolan è un'epopea spaziale. Una manciata di coraggiosi rischia il tutto per tutto alla ricerca di una speranza per il mondo. Fin dall'inizio, però, il mistero e i sentimenti si intrecciano al dovere, fino alle estreme conseguenze: il fine giustifica i mezzi?
Cooper è dilaniato fra il proprio dovere di uomo e il suo ruolo di padre. Risucchiato nello spazio profondo, il tempo cambia, si trasforma, e ogni minuto acquista un significato spropositato, perchè l'equivalente sulla Terra è esponenziale. Gli anni passano e il suo rimpianto più grande, il rimorso che sempre lo ferisce e mai lo abbandona è l'aver abbandonato i figli, soprattutto la più piccola, Murph.
Murph è l'altra protagonista del film. L'amore e l'ammirazione che da bambina prova per il padre si vena di rancore con il passare degli anni, quando le notizie non arrivano più e il suo ritorno sembra ormai impossibile. Coinvolta profondamente nei lavori della NASA, è infelice e inquieta. 
Il filo che unisce padre e figlia è la chiave di volta per la comprensione di un film che, nel migliore stile Nolan, si nutre soprattutto dei dettagli e che riesce a mostrare un quadro finale assolutamente sorprendente e inaspettato.
L'altro grande tema del film è la strenua lotta per la sopravvivenza.


Magistralmente espresso dai versi di Dylan Thomas, che torneranno nella scena culminante di tutto il film, il messaggio giunge lo spettatore con grandissima efficacia.
Infuria, infuria.
Non lasciare che la morte ti prenda senza colpo ferire, ma combatti, aggrappati con le unghie al giorno e alla vita. L'istinto di sopravvivenza è uno dei fondamenti della vita, è la risposta spontanea a qualcosa che ci è ignoto ed estraneo. Tutto il film è una celebrazione alla lotta, alla "furia", all'ostinato desiderio di vivere.

"Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango."

L'uomo è tale perchè rifiuta i suoi limiti, la letteratura ce l'ha detto per la prima volta secoli fa. In questo caso, l'istinto di sopravvivenza, ciò che abbiamo di più animalesco in assoluto, prevale sul desiderio di onnipotenza, sulla brama di conoscenza. La terra non è che un "mare di fango", ma noi ci accontentiamo. 
Nolan ci dice però che la grandezza ha sempre un prezzo.



Il film mi è piaciuto moltissimo. Come già ho detto, Nolan mescola il senso del meraviglioso e dell'eccezionale con il tumulto di umanissimi sentimenti. Gli attori sono stati tutti all'altezza della situazione, a mio parere, e il finale è in perfetto stile Nolan: aperto, senza che ogni domanda abbia avuto necessariamente risposta. Perchè la storia - e la vita - non hanno un vero finale ma sono un continuo fluire verso il futuro. A chiudersi sono i "cerchi" dentro di noi: ognuno di noi ha un proprio percorso da seguire, piccoli passi che, un poco per volta, lasciano indietro le antiche ferite e chiudono con il passato, una volta che ci si è scesi a patti. Solo allora siamo pronti per avanzare, altrimenti saremo condannati a percorrere sempre le stesse strade, a provare sempre gli stessi sentimenti e a incontrare sempre le stesse persone, fino a che non ce ne andremo docili nella "buona notte".

Virginia